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di Simona Musco

Il Dubbio, 7 settembre 2023

Sprint per la conversione, ma fanno breccia i rilievi di FI sulla retroattività delle misure. I possibili profili di incostituzionalità relativi al decreto legge 105, che estende il raggio delle intercettazioni per consentire l’utilizzo degli strumenti previsti per la lotta alla criminalità organizzata anche in assenza della contestazione del reato associativo, preoccupano la maggioranza. Una preoccupazione accompagnata dal nervosismo per la circolazione della scheda redatta dall’ufficio legislativo di Forza Italia, pubblicata ieri dal Dubbio, nella quale vengono evidenziate le criticità del decreto, prima fra tutte la pretesa di rendere retroattiva la norma.

Non si tratta di una svista, ma di una precisa scelta strategica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, costretta a mettere una toppa nel rapporto con le toghe dopo le esternazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio sull’evanescenza del concorso esterno. E così a fornire lo spunto per ricucire i rapporti, su suggerimento del sottosegretario Alfredo Mantovano, era stata la preoccupazione dei capi delle procure di fronte ad una sentenza di Cassazione che metteva a loro dire in discussione il concetto di criminalità organizzata, alla quale il governo ha risposto con un decreto “salva processi”. Stando a quella sentenza, infatti, sarebbero illegittime le intercettazioni disposte secondo i criteri previsti per i “delitti di criminalità organizzata” - indizi di reato “sufficienti” anziché “gravi” e durata di quaranta giorni anziché 15 - nel caso in cui non venga contestata l’associazione mafiosa ma la sola aggravante mafiosa, sancendo così l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito in tal modo. Da lì la necessità di rimediare, con un testo che, però, presenta più di un difetto.

“Ci sono profili che preoccupano”, spiega una fonte esperta di dinamiche parlamentari. E a pensarla così non sono solo i forzisti, ma anche parlamentari di altri gruppi, convinti che tutto possa andare in fumo per la pretesa retroattività del decreto. “Non è detto che queste preoccupazioni si concretizzini in atti concreti - continua il parlamentare -, ma ci possono essere problemi di costituzionalità”. La bozza tecnica predisposta dall’ufficio legislativo di Forza Italia, scheda ad uso interno del gruppo, sottolinea infatti un cortocircuito: il testo è stato presentato come norma di interpretazione autentica, ma “per come formulato (...) non appare tale”.

Non solo perché “manca la premessa che introduce questo tipo di norme (“l’art. 13… deve essere interpretato nel senso che…”), ma anche perché è accompagnato, al secondo comma, dalla disposizione transitoria che prevede l’applicabilità delle nuove disposizioni anche nei procedimenti in corso dalla data di entrata in vigore del decreto legge”. Disposizione, continua la scheda, “che ha senso solo sul presupposto che la norma introdotta non sia di interpretazione autentica, che sia, cioè, disposizione nuova e che, come tale, avrebbe effetto solo per il futuro se non fosse, per l’appunto, derogata dalla norma transitoria stessa che la rende applicabile ai processi in corso”.

La deroga pone dunque un problema di legittimità: se la norma ha carattere innovativo, come sembra, allora “le intercettazioni illegittimamente disposte prima della modifica normativa non possono adesso essere considerate legittime e utilizzabili a fini di prova”. E l’intervento del governo “non può valere come una sanatoria per intercettazioni illegali nel momento in cui sono state disposte (a voler accedere alla tesi della Prima Sezione della Cassazione, che sembra confermata, indirettamente quanto paradossalmente, dal decreto- legge) - si legge nella scheda -. Se la norma transitoria intende dire questo, è di più che dubbia legittimità costituzionale perché gli articoli 15 della Costituzione e 8 Cedu consentono limitazioni alla riservatezza nei limiti e con le garanzie stabilite dalla legge; una legge che, evidentemente, deve preesistere rispetto al momento in cui quelle limitazioni sono disposte”.

Il testo dell’ufficio legislativo farà da base per gli emendamenti che verranno presentati dagli azzurri, tra i più preoccupati per le possibili ricadute della norma sulle garanzie processuali. Ma tale documento, chiariscono dalle parti di Forza Italia, non vuole avere una connotazione politica, bensì solo tecnica. Un distinguo necessario, dal momento che ammettere il contrario significherebbe cristallizzare la più volte ipotizzata distanza degli azzurri dal resto della maggioranza, distanza ormai difficilmente occultabile. Di mezzo ci sono i principi dello Stato del diritto, più di una volta sacrificati sull’altare della sicurezza nel corso di questa legislatura, ai quali il partito di Berlusconi non vuole derogare. Ed è per questo che saranno decisivi i lavori in Commissione, per riuscire a smussare quanto più possibile gli angoli al provvedimento.

Il decreto, ieri, è stato incardinato alla Camera nelle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia. A fare da relatore, per la prima commissione, Sara Kelany, di Fratelli d’Italia, e per la seconda Pietro Pittalis, di Forza Italia. L’iter sarà velocissimo: entro oggi i gruppi potranno presentare i nomi delle persone da audire, che verranno convocate a partire da martedì e fino a giovedì prossimi, per consentire ai partiti di presentare emendamenti e far approdare il testo in aula il 24 settembre. “Il clima è assolutamente sereno e collaborativo - spiega al Dubbio Pittalis -. Avvieremo le audizioni, congiuntamente con i colleghi della Commissione Affari costituzionali e all’esito i gruppi potranno presentare gli emendamenti. I tempi sono molto ristretti, ma il nostro obiettivo è non sottrarre tempo al dibattito e consentire anche, una volta esitato alla Camera, di far approdare il testo al Senato per la sua approvazione”.