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di Jacopo Benevieri

Il Riformista, 21 aprile 2024

Quotidianamente, in tutta Italia, giudici, avvocati, pubblici ministeri (e giornalisti) “leggono” le trascrizioni delle parole intercettate, molto raramente le “ascoltano”(e comunque lo fanno dopo aver letto, dunque contaminati nella percezione). Per comodità consultano la trascrizione e, sempre per comodità, ne suppongono la fedeltà al parlato, mai ascoltato.

Una volta pronunciata, la parola assume un corpo. Beninteso un corpo fonico, dunque evanescente, che però si muove nello spazio da chi parla a chi ascolta, lungo frequenze e onde. Insomma, uno spazio cha ha la fisica di ogni viaggio. Se questa parola, intercettata nel tragitto, viene immobilizzata su un foglio e trascritta, ecco che il suo corpo subisce una metamorfosi che è un transito: dal regno dell’oralità accede a quello terrigno della scrittura. E, come in tutti i transiti danteschi, anche qui c’è qualcuno che accompagna il viaggiatore. Nell’accompagnare la parola in questa metamorfosi il trascrittore e la sua opera non ricevono l’attenzione dovuta.

Il motivo: a Piazza Cavour si sostiene la marginalità del ruolo di questo novello Virgilio. La prova, si argomenta, sarebbe contenuta nel parlato intercettato, che può essere sempre ascoltato. La trascrizione sarebbe solo una banale riproduzione grafica di quell’audio, cui si ricorre non per necessità ma per comodità: chi trascrive non fa nulla di complicato. D’altronde ciascuno di noi trascrive, se non altro la lista della spesa che ci viene dettata. Queste rassicurazioni, però, sono d’un candore proprio delle favole, che rappresentano sempre la rimozione psicanalitica di un trauma.

La prova è la trascrizione - E il trauma rimosso è che la prova è la trascrizione. Quotidianamente, in tutta Italia, giudici, avvocati, pubblici ministeri (e giornalisti) “leggono” le trascrizioni delle parole intercettate, molto raramente le “ascoltano” (e comunque lo fanno dopo aver letto, dunque contaminati nella percezione). Per comodità consultano la trascrizione e, sempre per comodità, ne suppongono la fedeltà al parlato, mai ascoltato. Che trascrivere sia facile, poi, è argomento antiscientifico. Basterebbe leggersi qualche studio: se sottoponiamo un dialogo intercettato a dieci trascrittori, avremo dieci differenti trascrizioni. Le stesse parole che per taluni sono chiare, per altri sono incomprensibili, oppure vengono intese come altre parole o scompaiono in un “omissis”.

Le ragioni? fenomeni d’illusione percettiva, di previsione nell’ascolto, di ricchezza del vocabolario personale di chi trascrive, di ignoranza di un dialetto, di conoscenza degli atti del processo. Insomma, chi trascrive non è un decodificatore impersonale di ciò che ascolta, ma partecipa attivamente alla percezione della parola, dunque alla trascrizione. Purtroppo, a forza di sostener la marginalità della sua opera, il trascrittore è stato lasciato solo in un territorio senza regole: si sforza di percepire ciò che può, trascrive come e cosa ritiene. Pace se una trascrizione errata crea dal nulla una parola e dunque una prova. In Italia non sono previste regole, protocolli, raccomandazioni che garantiscano criteri minimi di attendibilità della trascrizione.

L’importanza delle trascrizioni - Nessun corso di formazione istituzionale, né esami, né un albo. Tuttavia sulla trascrizione si basano le informative di reato, gli arresti, le sentenze di condanna, i titoli di giornale. Benvenuti nei sotterranei dell’intercettazione, strapiombi in cui la parola intercettata viene inabissata per essere poi restituita alla luce modificata, talvolta amputata. È urgente che un nuovo habeas corpus ci soccorra, quello che protegga i corpi delle parole da questo inabissamento. Con l’intervento incontrollato su quei corpi si esercita un nuovo potere sul processo e sulla prova, invisibile ma capace di annichilire ogni altra garanzia, di truffare ogni epistemologia, di rovinare i corpi veri delle persone.