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di Guglielmo Saporito

Il Sole 24 Ore, 29 agosto 2023

Tornano nelle aule giudiziarie i problemi di continuità aziendale per le imprese sospettate di infiltrazione mafiosa. Da Strasburgo, la Corte dei diritti dell’uomo chiede ai giudici italiani come possa confiscarsi un patrimonio aziendale, se gli stessi giudici penali abbiano, nel caso specifico, escluso l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso (sentenza 28 agosto 2023, Cavallotti).

Nello stesso mese, i giudici amministrativi annullano un’interdittiva, restituendo al mercato un’impresa in odore di mafia, ma divenuta immune proprio perché sottoposta a sequestro e quindi a un penetrante controllo pubblico (Tar Latina, il agosto 2023 n. 650, presidente Savoia, relatore Traina). La materia è fluida in quanto innovata a novembre 2021 (Dl 153), con effetti che ora iniziano a emergere. Le interdittive antimafia, qualora non derivino da una sicurezza assoluta di contaminazione, devono infatti essere precedute da un periodo prefettizio di “prevenzione collaborativa” che, per sei o 12 mesi, sottopone le imprese a verifiche contabili e amministrative.

Tale controllo prefettizio si affianca a quello che già spetta al giudice penale: ambedue i meccanismi di vigilanza consentono la prosecuzione dell’attività aziendale, rimediando ai rischi di una interdittiva con decapitazione dell’impresa ed espulsione dal mercato dei contratti pubblici. Dal 2021, si è passati così da un severo regime di interdittive, a procedure più articolate di collaborazione, similmente a quanto ci si attende con l’entrata in vigore della riforma tributaria (legge 111/2023), confidando altresì sui controlli mediante intelligenza artificiale.

Il contrasto all’infiltrazione mafiosa si allontana quindi (dal 2021) dalla logica degli indizi e dei provvedimenti immediati, affidandosi invece a un controllo sul rischio di contaminazione. Per il passato, i pericoli di infiltrazione e di agevolazione alla mafia hanno già generato confische, che oggi sarebbero possibili dopo un articolato periodo di controllo.

Si spiegano così i dubbi estivi della Corte di Strasburgo, cui non è ben chiaro come, nel 2001, possa esservi stata una confisca di patrimoni sulla base di un mero sospetto, tanto più se vi sia stata un’assoluzione dall’accusa di associazione di stampo mafioso. Sul tema la Cassazione (4305/2016) ha tentato di chiarire che, attraverso la misura “di prevenzione”, si possano confiscare i beni che sembrano appartenere a imprenditori collusi; ma quel che oggi non convince la Corte dei diritti dell’uomo (che in proposito appunto interroga le autorità statali), è lo spessore di tale accertamento di pericolosità, con onere della prova a carico dei soggetti inquisiti (anche in caso di loro assoluzione dall’accusa di mafiosità).

Dal 2021 le procedure sono diventate più articolate e vi possono essere la confisca dei patrimoni e l’interdittiva, ma dopo un periodo di “prevenzione collaborativa” che modifica il rapporto tra giudice penale e imprenditoria considerata a rischio. Infatti l’eventuale periodo di controllo o di amministrazione giudiziaria (di competenza del giudice penale), così come la collaborazione che si può instaurare con la prefettura, riducono non solo il rischio di una improvvisa espulsione dell’impresa dal mercato, ma anche la difficoltà di spiegare la confisca dei beni ad imputati assolti.