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di Alessandro Ventimiglia

La Discussione, 16 maggio 2022

“Giacomo è un ragazzo di 27 anni, con la passione per il pugilato e per il rap. Non è un criminale ma un ragazzo con disturbi di personalità, che appena tocca la droga va fuori di testa. A mio figlio continuo a dire “combatti e sali sul podio della vita”. Sono le parole di mamma Loretta Rossi Stuart che nel libro “Io combatto” racconta il rocambolesco e spesso feroce rapporto tra lei e il figlio Giacomo, nato libero ma diventato suo malgrado, schiavo delle droghe.

Strumenti carcerari inadeguati - Talvolta, la forza e l’amore imprescindibile di una madre sono le uniche armi per salvare la vita di un figlio. Loretta, attrice, coreografa e autrice, svela attraverso questa testimonianza, la sua complessa missione di madre e quella di un inaspettato impegno sociale, che si scontra con l’inadeguatezza degli strumenti sanitari, legislativi e istituzionali cui si rivolge per tentare di recuperare una vita allo sbando, riuscendo a mettere sotto i riflettori emergenze scottanti.

“Il nostro è un grido per i tanti Giacomo che troviamo nelle carceri. Parliamo di 98 detenuti che aspettano di essere curati in luoghi idonei, e complessivamente 715 in lista d’attesa per entrare in Rems - spiega la Rossi Stuart - Non si può chiudere in carcere una persona che è stata riconosciuta come incapace di intendere e di volere, quella persona deve essere curata con la dignità che spetta a ogni essere umano”.

I pazienti psichiatrici non possono essere curati in carcere - La Rossi Stuart da anni lotta per difendere i diritti del figlio, ottenendo un riconoscimento da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, cui è seguita la recente sentenza della Corte Costituzionale che impone una regolamentazione delle Rems, residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. L’argomento è complesso e sembra distante da tutti noi ma, così come è accaduto a lei, può capire a chiunque di ritrovarsi improvvisamente ad avere un confronto con realtà molto dure: la dipendenza da sostanze stupefacenti, un figlio con fragilità psichiche, le comunità che in casi di persone “a doppia diagnosi” si rivelano inadeguate. Infine, il carcere spesso costretto a detenere pazienti psichiatrici, senza le necessarie cure.

Un libro perché la società diventi più civile e umana - Una vera storia d’amore e di guerra narrata tra le pagine di un libro-diario, dove traspare tutto il bene del mondo che Loretta spera sempre possa bastare a liberare il “suo” ragazzo interrotto, dall’imminente catastrofe che li ha travolti senza troppa compassione. “Io, combatto” vuole illuminare, se possibile, il cammino incerto di tante madri, papà, ragazzi. L’autrice si mette a nudo, sospinta dal desiderio di superare lo stigma e trasformare una dura prova, per lei e per suo figlio, in una prospettiva di crescita e sviluppo della società civile.

È un viaggio interminabile tra ricoveri in psichiatria, fughe da comunità, la porta carraia di Rebibbia, ultima spiaggia di un inferno dantesco dove Loretta ha continuato e continua a “tenere per mano” il figlio senza mai mollare la presa.