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di Rachele Cicogna

L’Unità, 7 agosto 2023

Svolgo da anni l’attività di testimone in qualità di nipote di una sopravvissuta di Auschwitz. Mia nonna, Lala Lubelska, polacca di Lodz è stata salvata da mio nonno, Giancarlo Cicogna, di origine veneziana. Nel 1946, nel piccolo paesino del Polesine in cui abitavano, arrivò una signora tedesca in cerca delle spoglie del figlio soldato deceduto; in municipio nessuno parlava tedesco e chiesero a mia nonna che il tedesco lo aveva imparato prima nel ghetto e poi nei campi, se poteva aiutare questa madre. In un primo momento la nonna rifiutò.

Aiutare la madre di soldato tedesco? Poi decise di ospitarla a casa sua, di cercare con lei le spoglie e siccome non trovarono nulla, la invitò per l’anno successivo per una breve villeggiatura.

Era il 1946 e non aveva perdonato, non aveva dimenticato, era “solo” una donna libera che aveva deciso di aiutare una madre.

Al fine di non banalizzare quello che per me è un operato di valore, mi impegno da sempre affinché tutte le persecuzioni abbiamo pari dignità. È difficile, credetemi, in uno stato che ha deciso di svuotare il valore della memoria. È difficile in uno Stato in cui si vuole parlare di memoria ma mai di verità. Ogni anno, in occasione del 27 gennaio, ascolto quanto più di mesto la macelleria politica riesca a produrre. Per non dimenticare. Perché la storia non si ripeta. Sappiamo tutti che la storia non si ripete con gli stessi contorni di un secolo fa, ne trova altri e li adegua alla società che percorre.

Oggi, dopo 80 anni da ciò che ha vissuto la mia famiglia, la persecuzione che merita la medesima dignità e sulla quale vorrei venissero accesi i giusti riflettori, è quella che subiscono i detenuti. Prima e dopo la detenzione. Sembra una bestemmia, vero? Nessuno tocchi l’olocausto.

Mi spiace, ma quello che un tempo si chiamava nazismo, ora si chiama Stato. I nuovi perseguitati sono coloro che vivono in galera e nella galera che li aspetta fuori.

La maggior parte dei suicidi dei detenuti si consuma alla vigilia della cosiddetta libertà. Ci siamo mai chiesti perché? Non è che forse il nostro Stato ha appaltato al carcere tutti i nodi che non riesce a sbrogliare? Dalla droga alla immigrazione, dal furto alla pedofilia. Che poi, parlare di suicidi è quasi ridicolo, ricordiamoci tutti i decessi da accertare: li hanno suicidati.

Della galera fuori dal carcere siamo tutti conniventi. È la stessa connivenza dei negazionisti dell’Olocausto. I commenti, l’atteggiamento di emarginazione, il pregiudizio, il giudizio … e gli ignavi, che forse sono peggiori di tutti. Su questo è il mio focus, sui perseguitati di oggi, che magari, non essendo ricchi o essendo semplicemente “normali”, da perseguitati sono semplicemente diventati ultimi. Un anno, mia nonna venne invitata a inaugurare una piazza dedicata ai perseguitati della Shoah. In quell’occasione, poco distante da lei, vi era un banchetto di giovani missini che raccoglievano le firme per poter intitolare una via a Norma Cossetto.

Nonna venne portata davanti a queste persone con l’intento di farle vergognare ma lei disse loro di proseguire a lottare “perché io sono viva, lei è morta perseguitata”.

Questa è stata la mia grande eredità: la memoria senza le bandiere, il riconoscere cosa sia una persecuzione costruita, legalizzata, metodica e sedimentata nelle nostre coscienze. Quando le carceri chiuderanno in favore di soluzioni alternative, quando butteremo via le nostre derive forcaiole e giustizialiste si apriranno nuovamente quei cancelli che ben riconosciamo nelle locandine, nel film e nei libri.