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La Repubblica, 12 aprile 2024

Ci sarà una giornata di studi, prevista per venerdì 17 maggio dalle 9 alle 17 nella Casa di reclusione di Padova sul tema dell’affettività in carcere, sancita da una recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui prevede che la persona detenuta possa essere ammessa ai colloqui con il coniuge o convivente, sotto il controllo a vista del personale di custodia”.

Partecipano ai lavori con le loro testimonianze i redattori detenuti di Ristretti Orizzonti, che dialogheranno anche con i loro famigliari. Coordinerà i lavori Adolfo Ceretti, criminologo, dell’Università di Milano-Bicocca, e coordinatore scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano. Aprirà i lavori il direttore della Casa di reclusione, Claudio Mazzeo. Il programma della Giornata di Studi è stato curato da Ornella Favero con la redazione di Ristretti Orizzonti.

La desertificazione degli affetti. “Desertificazione affettiva”: è questo “il paesaggio del carcere” che la Corte Costituzionale descrive nella sentenza 10/2024, che, rendendo possibili i colloqui intimi, è destinata a rivoluzionare la vita detentiva riportando vegetazione, acqua e amore in quel deserto. Ristretti Orizzonti - Associazione composta anche da detenuti che informa su quello che accade nelle prigioni e nelle aule di giustizia italiane - usciva nel 1998, nel suo numero Zero, affrontando senza timidezze il tema degli affetti e del sesso negato in carcere. Oggi, a distanza di più di venticinque anni, per la prima volta s’intravede la possibilità di un cambiamento vero, profondo, radicale. La sentenza della Corte Costituzionale è il faro che guida in un viaggio, che può davvero trasformare le carceri in luoghi più umani, a partire da quegli spazi che finalmente devono essere garantiti alle persone detenute per incontrare le persone care senza controlli visivi.

Viaggio dentro una sentenza.

La prima tappa è con il magistrato e il costituzionalista: per l’amore in carcere serve “uno spazio il più possibile simile alla vita all’esterno”.

Fabio Gianfilippi è il magistrato di sorveglianza di Terni che ha sollevato la questione di costituzionalità sull’articolo 18 dell’Ordinamento Penitenziario, che impone il controllo visivo nei colloqui delle persone detenute con i loro cari, di fatto impedendo l’esercizio del diritto a coltivare un rapporto, affettivo e sessuale, con il proprio partner: “La Corte non detta i tempi, ma certamente dice - secondo me in modo molto chiaro - che non c’è da attendere il legislatore. Lui interverrà se e quando lo riterrà, ma intanto bisogna organizzarsi, anche se i tempi saranno inevitabilmente un po’ diversi da istituto a istituto”.

Il sesso e il carcere, tema incandescente e rimosso. Scriveva Andrea Pugiotto, costituzionalista che da anni vigila che la Costituzione non si fermi sulla soglia del carcere: “Il binomio affettività-carcere stringe a tenaglia un problema intorno al quale è inutile circumnavigare: la possibilità di mantenere dietro le sbarre una relazione amorosa che non sia amputata della propria dimensione sessuale. Problema incandescente, perciò da sempre rimosso nonostante la reiterata richiesta dei detenuti ad avere in carcere, in condizioni di intimità, incontri con persone con le quali intrattengono un rapporto di affetto. È un desiderio legittimo. È anche un diritto?”. Sì, oggi è anche un diritto, “si tratta ora di vigilare contro il rischio di manovre dilatorie che - c’è da scommettere - non mancheranno”. Andrea Pugiotto è ordinario di Diritto costituzionale, all’Università di Ferrara, estensore e primo firmatario dell’appello - sottoscritto da oltre cento accademici, garanti dei detenuti, presidenti e aderenti all’Unione delle Camere Penali (UCPI), esponenti del Volontariato e del Terzo Settore - a sostegno della questione di costituzionalità promossa dal Magistrato di sorveglianza di Terni.

Seconda tappa, l’incontro con le emozioni bloccate. Con ragazzi che hanno dovuto congelare le proprie emozioni. Se te ne vai da casa che sei ancora un ragazzino, se lasci il tuo Paese e i tuoi genitori non ti fermano perché sanno che non c’è futuro a restare, l’affetto, l’amore, i ricordi, li devi reprimere per non stare troppo male. E invece, dice ai ragazzi del minorile Chiara Gregori, sessuologa capace di parlare con delicatezza di sesso e di amore, le emozioni “…imparate a riconoscerle, a rispettarle, quindi a modularle, prima di passare all’azione; è importante per poter star bene voi, ma anche per far stare bene chi è con voi”. Con i ragazzi parla anche “dell’importanza del piacere nelle nostre vite e nella sessualità, ma anche l’importanza della gentilezza e cura dell’altra persona e infine la tendenza che abbiamo a fare cose per piacere alle altre persone più che per noi. Questi sono tre aspetti che, a mio parere, andrebbero sempre dosati e valutati nelle relazioni umane”.

Chiara Gregori, è ginecologa e sessuologa, segue un progetto con una classe di minori stranieri dell’Istituto penale minorile Beccaria, nel quadro di un programma finanziato dall’Università degli Studi di Milano. È appena uscito, per le edizioni Becco Giallo, “Per piacere. Piccola guida per una sessualità consapevole”.

Terza tappa, i detenuti e l’amore “congelato”. Il carcere degli adulti che ti fa diventare “analfabeta amoroso”. Ridurre i danni provocati dalla galera, forse a questo servirà la sentenza della Corte Costituzionale. Che sembra poco, e invece è un’enormità, perché permette alle persone detenute di ritrovare la loro umanità, la bellezza di un abbraccio, il piacere di un bacio che non sia rubato. Francesca Melandri, sceneggiatrice, scrittrice e documentarista è anche autrice di “Più alto del mare”, dove racconta gli anni bui del terrorismo da una prospettiva diversa, quella dei parenti dei colpevoli, vittime a loro volta ma condannate a non essere degne di compassione.

A questo proposito va citato Massimo Cirri, psicologo e giornalista, e da venticinque anni impegnato nei servizi pubblici di salute mentale. Dal 1997 è autore e voce di Caterpillar, su Radio2 ed è autore, tra l’altro, con Chiara D’Ambros, di “Quello che serve”, un libro delicato, ironico e profondo, che conferma l’importanza del diritto alla salute sancito dalla Costituzione. E il dovere di tutelarlo.

Quarta tappa, il ruolo della Polizia penitenziaria. Ma anche quello degli operatori civili. Insomma, da uno sguardo ostile a uno sguardo accogliente? Scrive Roberto Cornelli, criminologo “Analizzare il punto di vista degli operatori e delle operatrici di Polizia Penitenziaria è rilevante (…) per consentire una discussione pubblica sulle polizie, in modo da rafforzare i presupposti democratici della loro legittimità. L’uso della forza di polizia è sempre problematico in una società democratica, anche quando risulta legittimo: possibile che il poligono di tiro e l’addestramento tecnico non possano essere accompagnate da altre materie di approfondimento? Possibile che la formazione sia gestita in modo così autoreferenziale da non consentire spazi di dialogo con la società esterna?”. Roberto Cornelli è professore ordinario di Criminologia all’Università degli Studi di Milano, dove insegna anche Giustizia Riparativa. È autore di “La forza di polizia. Uno studio criminologico sulla violenza”; alla Polizia Penitenziaria ha dedicato diverse ricerche, tra cui la “Prima indagine sul personale lombardo della Polizia Penitenziaria” e lo studio su “La polizia penitenziaria di fronte agli eventi critici”.

L’amore “affidato” ai direttori? La sentenza della Corte Costituzionale ha bisogno di direttori che sappiano sfidare la lentezza, che a volte diventa immobilismo, delle Istituzioni. La Corte dunque invita tutti a dare il loro apporto e, aggiungiamo noi, a non fare come con il Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario che dal 2000 a oggi ancora non è stato del tutto applicato: “È altresì opportuno valorizzare qui il contributo che a un’ordinata attuazione dell’odierna decisione può dare - almeno nelle more dell’intervento del legislatore - l’amministrazione della giustizia, in tutte le sue articolazioni, centrali e periferiche, non esclusi i direttori dei singoli istituti”.

L’amore ha bisogno di esperienza. Lo dice Cosima Buccoliero, direttrice della Casa Circondariale di Monza, a proposito dei legami affettivi delle persone detenute: “L’amore ha bisogno di esperienza e per queste coppie l’impossibilità dell’esperienza vanifica anche il piú intenso dei sentimenti. Il rapporto è vissuto per lettera, in una costante proiezione verso un altro tempo o un altro luogo, e attraverso i sei colloqui che possono diventare anche meno se poi ci sono madri o padri, figli, sorelle o fratelli da incontrare e con cui condividerli. E poi è un rapporto vissuto sempre sotto l’occhio della sorveglianza”.

Quinta tappa, i morti di carcere. Quando in carcere l’amore e il dolore si intrecciano. L’amore di cui si parla è quello di tante madri, i cui figli stanno in carcere e non dovrebbero essere lì: “Mio figlio - racconta Stefania - aveva avuto una perizia psichiatrica, in cui appunto era chiaramente scritto che era inidoneo al carcere, e quindi doveva fare un percorso comunitario. (…) e infatti era in attesa di essere trasferito in una REMS. Poi ci sono stati degli episodi disastrosi, ad esempio qualche giorno prima si era tolta la vita un ragazzo di una cella accanto con cui Giacomo era diventato amico. Questa cosa praticamente ha innescato il grilletto, anche se non sappiamo quanto sia stata volontaria la sua morte, nel senso che lui cercava di lenire il suo dolore devastante in qualsiasi modo”. Prevenire queste morti non è facile, ma si deve fare di più: cominciamo almeno ascoltando i racconti di quelle madri che hanno “perso” un figlio in carcere. Stefania, madre di Giacomo, che ha perso la vita in carcere a 22 anni.

Sesta tappa, le nuove speranze. L’amore e la sofferenza dei famigliari. Come guarderanno alla sentenza figli, compagne, genitori delle persone detenute? È con loro prima di tutto che bisogna aprire un dialogo, perché il rischio è che si creino illusioni, diffidenze, e anche la sensazione di essere discriminati o esclusi, dal momento che la sentenza limita la possibilità dei colloqui riservati al coniuge, la parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente.