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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 12 novembre 2023

La donna è già stata individuata quattro volte ma è riuscita a mettersi in salvo grazie all’aiuto di Don Luigi Ciotti. “Se non mi ribellavo mio figlio era un altro mafioso e mia figlia un’altra donna serva di uomini senza onore”. Il fondatore di Libera: “Serve una legge che dia loro riconoscimento giuridico”. Località segreta, nord Italia - L’appuntamento è a un casello autostradale. Poi una telefonata, l’indicazione di una piazza a una decina di chilometri. Passo rapido, sguardo circospetto. La guardi e ti chiedi come faccia questa donna a vivere in fuga da 11 anni, costruendosi una vita di facciata, senza passato, nome di fantasia, ma quello vero sui documenti.

Ti chiedi come sia riuscita questa giovane vedova di mafia a salvare i suoi bambini, una femmina e un maschio, dalla caccia della sua famiglia che la insegue da quando, una notte di 11 anni fa, suo marito mai più tornato a casa vittima della lupara bianca, decise di lasciarsi tutto alle spalle per regalare ai suoi figli un futuro lontano dalle cosche. “ Piacere, Anna… come ormai mi conoscono le pochissime persone che frequento. Per la verità non so più neanche io chi sono”.

Anna, perché vive così?

“Non ho altra scelta. Quattro volte mi hanno individuato, quattro volte per miracolo sono riuscita a salvare i bambini, a fuggire e a cambiare di nuova casa, città, regione. E la cosa più brutta è che a darci la caccia è la mia famiglia. Per mio padre, affiliato alle cosche, aver lasciato che io mi sottraessi al destino disegnato per me e i bambini, è un affronto. Quanto a mia madre, se mai un giorno un killer riuscirà a beccarmi sarà stata lei a mandarmelo. Lei, fiera e serva di quella figura maschile che di forte non ha proprio nulla”.

Ci racconti tutto dall’inizio. Chi è lei? Cosa l’ha spinta alla fuga?

“Vengo dalla Sicilia, mio padre è un affiliato alle cosche del Catanese e anche la famiglia di mio marito. Sa come funziona: certo, sapevo qual era l’ambiente in cui sono cresciuta ma non ho mai saputo niente degli affari criminali. Io ho sempre lavorato nell’azienda di famiglia da quando ero ragazzina e mio marito lavorava nel cantiere del padre. Mai indagato, mai arrestato”.

Ma una sera non è tornato a casa...

“Sì, doveva andare a prendere i bambini da mia madre e non si è visto. Non rispondeva al telefono e la notte non è tornato a casa. Il giorno dopo ho capito subito che c’era qualcosa che non andava e che lo avevano ucciso. La sua stessa famiglia”.

E come l’ha capito?

“Ti sparisce un figlio, un nipote, fai qualcosa, lo cerchi, ti muovi. E invece lì si preoccupavano soltanto di quello che facevo io. Dovevo stare zitta e non fare domande. Mia madre mi disse subito: “La tua vita è finita, d’ora in poi fai quello che dicono tuo padre e tuo fratello. Piangitelo, metti il nero, chiuditi a casa ma stai zitta”.

Ma lei non stava affatto zitta...

“Sono stata sempre una ribelle, ma questo non potevo sopportarlo, andavo per strada e gridavo a tutti quello che avevano fatto. Ill corpo di mio marito non è mai stato ritrovato, solo tempo dopo dai giornali seppi che ad eliminarlo era stato suo zio perchè lui si stava allargando troppo”.

Sola, senza nessuno al suo fianco, con due bambini piccoli. Come è riuscita a fuggire?

“Mi sono ribellata a quel destino che avrebbe fatto di mio figlio un altro piccolo mafioso e di mia figlia un’altra donna serva di questi uomini senza onore. Ho chiesto aiuto a tanti, anche al parroco, ma mi guardavano come una matta. Poi un giorno ho visto un volantino di Libera in un negozio. E sono entrata in contatto con Don Luigi Ciotti. Mi ha aperto una cartina davanti e mi ha detto: dove vuoi andare? Prima ho portato in salvo i bambini, poi ho messo insieme due cose e sono sparita”.

Senza una casa, un lavoro, una nuova identità?

“Un’impresa titanica. Sapete cosa significa cambiare nome ma avere i documenti con quello vero , crescere i tuoi figli raccontando tutta la verità ma chiedendo loro di mentire sempre, di guardarsi sempre le spalle senza mai fare un errore che potrebbe costarci la vita? E vivere con il costante terrore che ci trovino?”.

E infatti vi hanno trovato...

“La prima volta un anno e mezzo dopo la fuga, a scuola. Quella mattina Dio ci ha salvato. Non mi è suonata la sveglia. Mi chiama la direttrice e mi dice: “Ci sono due uomini davanti le classi dei suoi figli, dicono di essere venuti a prendere i bambini”. I loro nomi, quell veri erano nell’elenco degli alunni nel corridoio. Chiamo Don Ciotti: “Prendi i bambini e scappa”. Poi, grazie a lui, sono riuscita ad ottenere dal ministero della pubblica istruzione che i miei figli venissero iscritti a scuola con falso nome ma che alla fine del percorso didattico venisse riconosciuto il loro titolo di studio. Poi è successo in palestra, e poi ancora altrove”.

Una vita a ostacoli tutti i giorni…

“Ogni gesto è un rischio. Il tampone durante il Covid, un accesso in ospedale. La tessera sanitaria riporta il nostro vero nome. E ora l’università per mia figlia. E gli esami per la patente. IO ovviamente non posso lavorare, vivo grazie al sostegno di Don Ciotti. Perché dobbiamo far pagare il conto di colpe che non sono loro ai nostri figli?”.

Anna, cosa chiede?

“Lancio un appello a Giorgia Meloni: tanti anni di battaglie non possono sfumare. Ho cercato di far crescere i miei figli liberi, senza paura, cerco di motivarli. Rifarei tutto ma oggi ho bisogno di dare un senso a tutto questo. IO e le donne come me chiediamo solo di poter avere una nuova identità, senza questa tutti i diritti fondamentali, la scuola, la sanità, il lavoro, la dignità della persona ci sono negati. Ogni mattina affronto la battaglia che la giornata mi presenta. Se lo Stato non ci aiuterà, condannerà noi a vivere nascosti mentre i mafiosi continuano a girare liberi per strada”.

La battaglia di don Luigi Ciotti

Nei giorni scorsi, il fondatore di Libera ha portato Anna e altro donne come lei con i loro figli da Papa Francesco. Al Pontefice don Ciotti ha chiesto sostegno per una battaglia parlamentare. “Sono donne che chiedono una mano, chiedono di essere accompagnate per uscire dal contesto mafioso. Donne che, diventate madri, guardano i loro bambini, ragazzi e ragazze e non accettano l’idea che un giorno quelle vite saranno pedine di un gioco di potere, di violenze e di carcere. La loro è una ribellione di cuori e di coscienze. Donne che nonostante i codici culturali consolidati dicono basta! Oggi, grazie a queste donne, cresce un fermento sotterraneo. Cresce la consapevolezza ragionata che si è messo in moto un meccanismo inarrestabile. È una rottura dal male, una rottura innanzitutto culturale e così “indeboliscono” il potere mafioso dal di dentro. È necessario per molte di loro un cambiamento anagrafico, di generalità. Un nuovo nome significa assumersi la responsabilità di un rinnovamento reale della propria esistenza. È poter ricostruire dei legami amicali, affettivi, professionali senza la paura di essere riconosciute e dunque rintracciate da chi le cerca per fargliela pagare. Serve una legge, un riconoscimento giuridico della loro scelta. Perché queste donne, questi bambini, non sono né collaboratori di giustizia né testimoni, non hanno alcuna tutela. La politica deve fare un piccolo sforzo”.