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La Repubblica, 27 dicembre 2023

L’allarme di Amnesty International. Nel Paese è in corso un’ondata di esecuzioni: ce ne sono state almeno 115 solo a novembre. Il detenuto è in carcere dal 2016. In Iran è in corso una spaventosa ondata di esecuzioni: ce ne sono state almeno 115 solo nel mese di novembre. Ora - denuncia Amnesty International - Ahmadreza Djalali, lo scienziato di nazionalità svedese e iraniana sottoposto a detenzione arbitraria in Iran dal 2016, rischia fortemente di essere messo a morte per rappresaglia.

La possibile ritorsione. “Le autorità iraniane - si legge in una nota diffusa dall’Associazione umanitaria che dedica le sue attività in tutto il mondo nel monitoraggio del rispetto dei diritti umani - stanno minacciando di eseguire la condanna a morte di Djalali per rappresaglia, dopo che le loro richieste d’invertire il corso della giustizia in Svezia sono rimaste inevase. Questo crudele gioco con la vita di Djalali, subito dopo che un tribunale svedese aveva confermato in appello la condanna all’ergastolo dell’ex dirigente delle prigioni Hamid Nouri per il ruolo avuto nel massacro delle carceri del 1988 - prosegue il documento - aumenta le preoccupazioni che le autorità iraniane stiano tenendo in ostaggio Djalali per indurre la Svezia a uno scambio di prigionieri”. Lo ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

La richiesta di moratoria delle esecuzioni. “Gli stati della comunità internazionale, compresa la Svezia, devono immediatamente chiedere alle autorità iraniane di annullare qualsiasi proposito di mettere a morte Djalali”, ha aggiunto Eltahawy. “Le autorità iraniane devono scarcerare Djalali, porre fine al loro agghiacciante assalto al diritto alla vita e avviare una moratoria sulle esecuzioni. Infine, devono essere sottoposte a indagini per il reato di presa di ostaggi”, ha concluso Eltahawy.

Gli antefatti. Il 20 dicembre, un giorno dopo la sentenza svedese, gli organi d’informazione statali iraniani hanno diffuso un video di propaganda contenente la “confessione” forzata di Djalali, nella quale egli dichiara di essere una spia israeliana. Djalali ha sempre negato queste accuse, sostenendo di essere stato costretto a “confessare” sotto tortura. Il video di propaganda contiene anche la “confessione” forzata di Habib Chaab, a sua volta svedese-iraniano, messo a morte in segreto nel maggio di quest’anno. Questa circostanza alimenta ulteriormente le già forti preoccupazioni che Djalali possa essere presto impiccato. Il 22 dicembre, secondo quanto riferito dai familiari di Djalali, un funzionario del potere giudiziario ha visitato il detenuto informandolo che il verdetto di colpevolezza e la condanna a morte erano stati “confermati” e che sarebbero stati “attuati presto”.