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di Gad Lerner

Il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2024

Il doppio funerale con cui è stato onorato Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, giovedì a Teheran, capitale dell’Iran, e l’indomani a Doha, capitale del Qatar, rappresenta un inedito assoluto nella millenaria storia dell’Islam; e dovrebbero farci riflettere sugli scenari futuri di una nuova guerra mediorientale che tutti considerano imminente, ma di cui nessuna potenza mondiale è in grado di controllare gli sviluppi. Haniyeh era un esponente della Fratellanza musulmana sunnita che ha importato nella realtà palestinese, senza remore teologiche, la dottrina politica controrivoluzionaria elaborata dagli ayatollah sciiti dopo la caduta dello scià di Persia. Diciamo che è come se per una controversa personalità cristiana si fosse tenuto prima un funerale con rito scismatico protestante e poi un altro di rito cattolico. Con la differenza che la guerra di religione fra i sunniti (85% dei musulmani) e gli sciiti (15% dei musulmani) è ancora in pieno corso. La morte del capo di Hamas ha simbolicamente riunito nell’omaggio la Guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, Ali Khamenei, assertore della teoria velayat-e faqih (tutela del giureconsulto) che subordina le autorità politiche alla volontà del capo religioso; e l’emiro del Qatar, Paese nel cui codice vige ancora la pena di morte per i musulmani che si convertano ad altra fede e la cui moschea principale è intitolata al teologo islamico puritano Muhammad Ibn al-Wahhab.

Siamo proprio sicuri che nel prossimo, annunciatissimo, conflitto fra Iran e Israele i Paesi arabi alleati con l’Occidente aiuteranno lo Stato ebraico a intercettare i missili lanciati verso il suo territorio dal Libano, dallo Yemen, dall’Iraq, dalla Siria e direttamente dall’Iran? Quando ciò avvenne, la notte del 13 aprile scorso, i sostenitori di Netanyahu enfatizzarono la rinascita di un “asse sunnita” costretto dalle circostanze a spalleggiare Israele per contrastare la minaccia iraniana che incombe su di loro. Ma nel frattempo l’Arabia Saudita si è messa a fare il doppio gioco (incoraggiata dai cinesi e dai russi) mentre la Turchia si è schierata apertamente al fianco di Hamas. Quanto a lungo potrà l’Egitto voltare la faccia di fronte alla carneficina in corso a Gaza, e mantenere relazioni diplomatiche con Israele, mentre l’indignazione per la sorte dei palestinesi unisce l’intero mondo arabo? Ci sarebbe poi un altro interrogativo che angoscia i cittadini israeliani dopo le recenti, inevitabili “falle” rivelate dal sistema di intercettazione antimissilistica Iron Dome, in servizio da 13 anni ma mai così stressato prima d’ora. Quanto è logoro? Quanto a lungo potrà reggere? Qui dovrei fermarmi perché sembrerebbe che per scrivere di politica internazionale occorra essere piuttosto tecnici esperti di nuove armi di precisione che non studiosi di dinamiche sociali, politiche, religiose.

Quanto ci mettono i missili a percorrere duemila chilometri (la distanza che separa l’Iran da Israele)? Più o meno di dieci minuti? Quali forme può assumere in futuro una guerra a distanza tra Paesi che non confinano fra loro e che sono spinti allo scontro diretto da motivazioni che nulla hanno a che fare con la geografia, col reciproco spazio vitale, bensì da secondi fini, conseguenze dell’anacronismo che paradossalmente li accomuna e sovreccita il fanatismo dei loro gruppi dirigenti? La teocrazia sciita, che deve imporre la sua visione imperiale all’Islam tutto, e l’etnocrazia ebraica, cui la destra israeliana sacrifica la natura democratica dello Stato, rendono insulsa e mortale al tempo stesso la contrapposizione.

Devono farsi la guerra. L’Iran per ergersi a Stato-guida di una potenza islamica alternativa al modello occidentale in decadenza, nel nome dell’antico impero persiano, e così resistere ai molti nemici regionali del regime degli ayatollah. L’Israele di Netanyahu perché convinto che la pace con gli arabi sia impossibile, che di conseguenza i palestinesi vadano cinicamente schiacciati per indurli a un nuovo esodo e infine che sia venuto il momento propizio per dare una spallata definitiva all’Iran, prima che sia troppo tardi. Sono anni che Netanyahu vuole convincere gli Usa del dopo Obama che bisogna andare a una resa dei conti definitiva con gli ayatollah. Per questo ha guardato con fastidio all’apertura del fronte ucraino. Per indole e per convenienza Bibi si sentirebbe più affine a Putin che a Biden. Ma ora, pur di trascinare in guerra al suo fianco gli Usa sarebbe pronto anche a dichiarare che sia un’unica trincea quella che unisce Gaza a Kiev.

La nuova guerra è del tutto incognita ma le grandi manovre sono in pieno corso. Israele ha sospeso i permessi dei riservisti. La flotta americana è in allerta. Non aiuterà certo a pacificare il mondo islamico l’arresto, a Gerusalemme, dell’80enne imam della moschea al-Aqsa, Akram Sabri, colpevole di avere promesso vendetta, in un sermone, per l’omicidio mirato del capo di Hamas.