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di Francesca Luci

Il Manifesto, 24 ottobre 2023

Mentre i giornali e le tv iraniane sono concentrate sulla guerra a Gaza, la società civile piange Armita Gerevand, che sarebbe in coma irreversibile. La sedicenne, ricoverata per una commozione cerebrale in ospedale dal primo ottobre in seguito ad un probabile spintone dei Guardiani della Hijab islamica, “colpevole” di non aver osservato il rigido codice di abbigliamento. Le autorità iraniane hanno negato l’accaduto e hanno affermato che la ragazza è svenuta dopo un calo di pressione e ha battuto la testa in una stazione della metropolitana di Teheran. Le riprese delle camere a circuito chiuso mostrano Armita senza copricapo accompagnata da due amiche che camminano verso il treno dalla banchina della metropolitana. Entrando nella carrozza, una delle ragazze viene vista immediatamente indietreggiare e cadere al suolo, prima che Armita venga trascinata priva di sensi fuori dal vagone.

Domenica le agenzie di stampa affiliate al governo hanno pubblicato un rapporto sulla “certezza della morte cerebrale di Armita”. Tuttavia, lunedì i famigliari sulla base delle dichiarazioni di fonti mediche dell’ospedale Fajr di Teheran, hanno smentito le notizie sulla sua “morte cerebrale”. La vicenda ha commosso l’opinione pubblica iraniana, che ricorda la triste vicenda di Mahsa Amini, morta in settembre un anno fa in custodia della Polizia morale, colpevole dello stesso “reato”. Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace, che sta scontando una pena detentiva di 10 anni, ha affermato su Instagram che “il comportamento del governo mostra il suo disperato tentativo di impedire che la verità… venga rivelata”.

“È inaccettabile il comportamento dell’autorità. Armita è stata chiusa in ospedale, i familiari non hanno avuto accesso libero, non si possono intervistare i medici. Tutto è un mistero. Se non hanno nulla da nascondere perché non permettono di fare una valutazione indipendente? Il diritto della famiglia è stato sistematicamente negato”. Dice Farah, giurista e attivista per diritti umani. Continua imperturbabile il pugno duro del regime teocratico contro le donne iraniane. Negli ultimi mesi sono riapparse la polizia morale e gli agenti di controllo dell’hijab per le strade mentre i legislatori spingono per imporre sanzioni ancora più severe per coloro che violano l’obbligo del copricapo.