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di Alessandro Fioroni

Il Dubbio, 18 luglio 2023

Dopo mesi di proteste per la morte di Masha Amini, tornano le ronde contro le donne. Ma questa volta la repressione dovrà fare i conti con i giovani pronti a sfidare il regime. Da domenica scorsa nelle città iraniane è tornata la famigerata polizia morale a pattugliare le strade. La notizia e stata confermata dal portavoce della stessa polizia, Saeed Montazerolmahdi, che ha reso noto ufficialmente che le squadre di agenti hanno ripreso il loro lavoro per “affrontare coloro che, sfortunatamente, ignorano le conseguenze di non indossare l’hijab adeguato e insistono nel disobbedire alle norme”.

Dieci mesi dopo l’arresto di Masha Amini, la ragazza curda di 22 anni fermata dalle forze dell’ordine a Teheran il 13 settembre 2022, e le proteste di massa scoppiate in risposta alla sua morte avvenuta nei tre giorni seguenti, mentre era trattenuta presumibilmente per aver indossato male l’hijab. Le pattuglie tornano dunque a cercare di fermare l’incendio delle rivolte, che ora sembra placato, ma che ha lasciato il fuoco a covare sotto la cenere. Le troppe testimonianze di come Mahsa sia stata uccisa, per i colpi alla testa ricevuti al momento dell’arresto, sono ormai divenute patrimonio di una generazione che continua a protestare anche con piccoli gesti.

Ancora il portavoce ha specificato il compito della polizia morale: “Se disobbediscono agli ordini delle forze di polizia, verranno intraprese azioni legali e saranno deferiti al sistema giudiziario”. Questo perché donne e ragazze hanno, non solo metaforicamente, bruciato il velo o lo hanno gettati in aria durante le manifestazioni anti- establishment. Un segno intollerabile di sfida per il regime degli Ayatollah che ha visto un numero sempre crescente di studentesse smettere ancora oggi di coprirsi i capelli in pubblico.

Ma è un gioco estremamente pericoloso perché attraverso il controllo sull’abbigliamento passa il dominio sul corpo delle donne e il controllo sociale. Dal 2006, unità speciali di polizia formalmente note come Guidance Patrols (Gasht- e Ershad) sono state incaricate quindi di far rispettare tali regole e via via nel tempo hanno assunto un’importanza sempre maggiore.

A riprova di quanto sia considerata sovversiva una liberalizzazione dei costumi da parte del regime teocratico, contribuisce il fatto che alla polizia morale sono state messe a disposizione anche tecnologie più moderne: telecamere di sorveglianza per identificare chi viola le regole, chiudendo anche le attività che tollerano chi attua le trasgressioni al codice di abbigliamento. La censura analizza le immagini e rende note quelle più adatte, come i video mostrati all’inizio di quest’anno nei quali si vedeva un uomo che lanciava una vaschetta di yogurt in faccia a due donne senza velo.

Le voci che si levano dall’opposizione sociale, soprattutto dal mondo studentesco, esprimono dubbi sul fatto che gli agenti saranno in grado di imporre il codice come facevano prima della morte di Mahsa Amini. La valutazione è che ormai le ragazze che trasgrediscono sono troppe. Anche per la società civile il ritorno della polizia morale causerà un nuovo caos, come ha avvertito il quotidiano riformista Hammihan o il politico Azar Mansouri secondo il quale tutto mostra che “il divario tra il popolo e lo stato si sta allargando”.

Inoltre, gli iraniani hanno anche usato i social media per condannare l’arresto, domenica di un attore, Mohammad Sadeqi, che aveva esortato le donne a difendersi, anche in maniera violenta, quando vengono avvicinate dalla polizia morale. L’attore però è riuscito a mostrare le immagini dell’irruzione di agenti in borghese nella sua abitazione. Da segnalare anche il caso di un’altra attrice, Azadeh Samadi, alla quale il tribunale ha imposto un divieto di sei mesi di utilizzare i social media e il proprio telefono, oltre a una terapia obbligatoria per “curarla” da una cosiddetta malattia antisociale della personalità: a maggio aveva partecipato al funerale di un regista teatrale senza indossare il velo.