sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Fabio Carminati

Avvenire, 6 marzo 2024

Un nuovo rapporto delle Ong denuncia che nel periodo delle proteste per l’uccisione di Mahsa Amini il regime ha superato del 43% l’anno precedente: è la cifra più alta dal 2015. Il principio numero uno del regime degli ayatollah è sempre lo stesso: negare, comunque. Il secondo rispondere con il silenzio ai continui rapporti che ogni anno registrano l’aumento del ricorso alla pena di morte come principale strumento di controllo della sicurezza, come gli arresti e le delazioni. I classici sistemi dittatoriali di un regime che si perpetua fondandosi sulla paura e sul capestro delle impiccagioni.

E l’ultima denuncia è purtroppo in linea con le precedenti. L’Iran ha messo a morte almeno 834 persone nel 2023, un aumento “allarmante” del 43% rispetto al 2022 e la cifra più alta dal 2015, secondo il rapporto annuale delle Ong Iran Human Rights e Ensemble Against the Death Penalty. “Il numero delle esecuzioni è letteralmente esploso nel 2023”, sottolinea il 16esimo rapporto delle Organizzazioni non governative sulla pena di morte in Iran. “E’ la seconda volta in 20 anni che il numero delle esecuzioni supera la soglia delle 800 all’anno”, sostengono queste organizzazioni, che denunciano una cifra “terribile”. Le esecuzioni in Iran, uno dei Paesi che esegue più esecuzioni insieme a Cina e Arabia Saudita, vengono effettuate mediante impiccagione. Delle esecuzioni del 2023, almeno 22 riguardano donne: è il numero più alto degli ultimi dieci anni, secondo il rapporto. Nel 2015, le autorita’ iraniane avevano portato a termine l’esecuzione di 972 persone, ricorda il documento di Iran Human Rights (Ihrngo), con sede in Norvegia, e Together Against the Death Penalty (Ecpm), con sede a Parigi. Nel rapporto di 100 pagine, le Ong accusano l’Iran di utilizzare la pena di morte come “strumento di repressione politica” del vasto movimento di protesta innescato dalla morte mentre era agli arresti, nel settembre 2022 di Mahsa Amini, una curda iraniana di 22 anni, che era stata fermata dalla polizia morale nel settembre 2022 perché indossava il velo in modo “non regolare”. Proteste chhe sono proseguite in tutto il 2023 con centinaia di arresti, soprattutto nel Baluchistan provincia di origine della ragazza.

“Instillare la paura nella società è l’unico modo per il regime possa restare al potere, e la pena di morte è il suo strumento più importante”, denuncia Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Ihrngo, in un comunicato stampa. Il rapporto non include nelle sue statistiche “almeno 551 persone uccise durante manifestazioni o altre esecuzioni extragiudiziali all’interno e all’esterno delle carceri”, sottolinea. Fra le persone impiccate, ci sono almeno otto manifestanti, sei dei quali arrestati nel contesto delle manifestazioni e condannati. Secondo il rapporto, almeno 471 persone (il 56% del totale) sono state giustiziate per casi legati alla droga - più di 18 volte la cifra registrata nel 2020 - e almeno 282 persone (il 34% del totale) per omicidio. L’Iran, che ha uno dei tassi di consumo di oppioidi più alti al mondo, è una delle principali rotte per il traffico della droga dal vicino Afghanistan verso l’Europa e il Medio Oriente. “La clamorosa escalation del numero di esecuzioni legate alla droga nel 2023 è particolarmente preoccupante”, affermano le Ong.

“Le persone uccise per reati di droga appartengono alle comunità più emarginate della società, e le minoranze etniche, in particolare i beluchi, sono largamente sovra rappresentate tra le persone messe a morte”, denuncia il rapporto.