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di Gabriella Colarusso

La Repubblica, 6 febbraio 2023

Esclusi dal perdono i condannati a morte. La decisione presa per celebrare l’anniversario della rivoluzione del 1979. Pentitevi e sarete liberati. Dopo quattro mesi di proteste, sopite da una dura repressione, la guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, tenta un gesto di “riconciliazione” offrendo l’amnistia ad alcuni detenuti - “migliaia” dicono i media di Stato - tra cui molti manifestanti arrestati da settembre. Ma a una condizione: che ammettano di aver commesso reati e si pentano promettendo di non tornare più in piazza.

Il perdono dell’ayatollah non varrà in ogni caso per chi è condannato a morte - almeno 100 manifestanti rischiano la pena capitale secondo le organizzazioni per i diritti umani - per chi ha collaborato con agenti stranieri o è responsabile di “omicidio e lesioni intenzionali, distruzione e incendio doloso di proprietà dello Stato”. Le autorità iraniane non hanno mai fornito finora il numero delle persone arrestate durante le proteste.

La Human Rights Activists News Agency parla di 19.500 detenuti, e più di 500 morti. Molti prigionieri hanno ricevuto condanne di anni anche solo per aver condiviso messaggi sui social a sostegno delle manifestazioni. Per giustificare la decisione di una amnistia parziale, il capo della magistratura, Gholamhossein Mohseni Ejei, ha parlato di giovani “che hanno commesso azioni sbagliate e crimini a seguito dell’indottrinamento e della propaganda del nemico”, che è la linea tenuta dal governo fin dall’inizio delle proteste: i disordini sono sobillati da forze “antirivoluzionarie”. “Questi giovani non sono in alcun modo contrari al sistema della Repubblica islamica”, ha voluto precisare Mohseni Ejei.

La grazia arriva a pochi giorni dalle celebrazioni per il 44esimo anniversario della rivoluzione di Khomeini, il prossimo 11 febbraio, e in un momento di grande fragilità per la Repubblica Islamica, attraversata da una crisi di legittimità inedita nella sua storia. Già in passato Khamenei ha annunciato amnistie in occasione delle celebrazioni, ma la mossa di queste ore sembra dettata anche dal tentativo di non far allargare le crepe politiche interne al Sistema. A chiedere un cambiamento profondo infatti non sono solo le piazze, i giovani del movimento pro-democrazia, ma anche pezzi dello stesso establishment rimasto fedele alla Repubblica Islamica per decenni.

Sabato l’ex premier e figura di spicco dell’opposizione, Hossein Mousavi, ai domiciliari dal 2011, ha chiesto un “referendum libero sull’opportunità di redigere una nuova Costituzione”, perché l’attuale “struttura” del sistema, in cui il potere decisionale è affidato a una sola figura, la Guida, è “insostenibile”. “L’Iran e gli iraniani hanno bisogno e sono pronti per una trasformazione fondamentale il cui profilo è tracciato dal puro movimento Donna, vita, libertà”, ha scritto Mousavi in un comunicato richiamando lo slogan del movimento pro-democrazia.

E ieri ha parlato anche l’ex presidente riformista Mohammad Khatami: “Ciò che è evidente oggi è un diffuso malcontento”, ha detto, “non vi è alcun segno del desiderio di riforma del sistema al potere per evitare gli errori del passato e del presente”. Khatami ha chiesto che si agisca con “metodi civili non violenti” per “costringere il sistema di governo a cambiare approccio e ad accettare le riforme”.