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di Elena Stancanelli

La Stampa, 4 ottobre 2022

Tiriamola fuori dal carcere dov’è rinchiusa senza alcuna ragione, lo Stato ottenga giustizia. “Sono fortunata a essere nata in Italia”, ha scritto sui social: dimostriamole che ha ragione.

Tiriamola fuori da lì, da quel carcere di Teheran dove è stata rinchiusa senza nessuna ragione. Alessia Piperno, trent’anni, nessun reato tranne la libertà. È partita da Roma sette anni fa con uno zaino in spalla per raggiungere l’Australia. Da allora non si è mai fermata, ha girato il mondo e si è anche inventata una professione: travel planner e personal concierge. Chissà cosa significa esattamente. Immagino si faccia pagare per organizzarci delle piccole avventure e risolvere eventuali problemi, a noi imbranati, disabituati ad andare in giro senza sicurezze, fuori dai circuiti programmati. È una bella idea. Quando Alessia Piperno tornerà avrà imparato milioni di cose che potrà raccontarci, ne farà di sicuro qualcosa di utile a tutti noi.

Tiriamola fuori di lì, da quel posto orrorifico dal quale è riuscita a chiamare i genitori, chiedendo loro di aiutarla. Dicendo che sta bene, ma ha paura perché là dentro c’è gente imprigionata da anni, con nessuna prospettiva di essere liberata, vittime della follia criminale di un regime che si regge attraverso la violenza. Ci sono le donne, e gli uomini, che in questi giorni hanno manifestato contro l’omicidio di Masha Amini, 22 anni, giustiziata a bastonate dalla polizia perché indossava il velo in un modo che nel loro universo isterico, irrazionale, brutale e arbitrario avevano ritenuto non corretto.

Quella ragazza avrei potuto essere io, aveva scritto Alessia Piperno sulla sua pagina Instagram, avrebbe potuto essere una qualsiasi delle donne che camminano per strada, sorvegliate dall’occhio di una Grande Fratello psicopatico, che ritiene la morte un condanna giusta per un ciuffo di capelli che sventola sul viso. Qualche giorno dopo aver scritto quel post, per nessuna ragione, Alessia Piperno è stata arrestata. Stava per festeggiare il suo trentesimo compleanno.

Sappiamo poco di quello che accade davvero in questi giorni a Teheran, perché le dittature hanno bisogno di silenzio, di nascondersi agli occhi del mondo per poter perpetuare i loro abomini. Spengono le connessioni a internet, cacciano i testimoni, i giornalisti, gli stranieri. Creano un tempo sospeso e incomprensibile, la cui percezione deve somigliare a quell’attesa che sta tra un colpo e l’altro per chi viene torturato. Un buio dove chiunque può trovarsi in balìa della violenza senza poter immaginare cosa accadrà e quando finirà. Proprio il contrario di quello che di solito facciamo noi, quando partecipiamo alle guerre con un post, o un tweet, o un like. Cioè con un gesto minuscolo, che inizia a finisce in un attimo.

Da qualche giorno gira su WhatsApp il video di una ragazza iraniana, un paio di minuti del suo volto bello e sofferente la voce che racconta la rivolta e la repressione, la richiesta di far girare per evitare quel silenzio che dicevamo. Noi lo abbiamo fatto girare. Forse servirà a poco, ma noi lo abbiamo fatto girare perché siamo qui, lontani da quell’inferno, e perché possiamo farlo. Nessuno ci censura, o ci viene a rapire a casa, o ci stupra, o ci bastona se dimostriamo, sia pure in modo millimetrico, che siamo dalla stessa parte di quelli che manifestavano per Masha Amini. Alessia Piperno, che era invece a Teheran, è stata arrestata. Sulla sua pagina Instagram scriveva “sono fortunata a essere donna e a essere nata in Italia”. Sono fortunata a “poter cantare a squarciagola quando sono in macchina, a ballare come una matta quando ascolto musica, a guidare una moto, a lasciare i miei capelli svolazzanti al cielo, fortunata di poter camminare per strada stringevo la mano alla persona che amo senza dovermi nascondere, perché se sei donna, in Iran, tutto questo non ti è consentito”.

Tiriamola fuori da lì perché noi possiamo farlo, se vogliamo. Non perché ci sia qualche democrazia da esportare o perché dobbiamo dare lezioni di civiltà a qualcuno. Ma perché possiamo farlo, se vogliamo. E non sempre vogliamo. In questi anni è capitato più di una volta che il nostro Paese si sia trovato a dover scegliere tra ragion di Stato e vite umane, intrecciando scuse ridicole, tergiversando fin quando non è stato troppo tardi. Neanche giustizia siamo, talvolta, stati capaci di ottenere, quando dovevamo trattare con dittature. Alessia Piperno è in galera e noi dobbiamo tirarla fuori, prima possibile. Perché in questo modo, da lontano, possiamo schierarci al fianco di chi combatte contro un regime psicotico, maschilista e sanguinario. Facendo girare dei video, malgrado questo ci faccia sentire un po’ ridicoli, ma soprattutto facendo pressione perché venga liberata Alessia Piperno come avremmo dovuto fare per Giulio Regeni e come dovremmo fare perché Patrick Zaki non venga condannato per “diffusione di false notizie dentro e fuori il Paese”.