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La Repubblica, 23 agosto 2023

Amnesty International: le pratiche repressive della polizia iraniana violano il divieto di tortura. Le autorità iraniane proseguono nella loro campagna di repressione. A quasi un anno dalla esplosione delle manifestazioni in tutto il Paese in seguito alla morte, per mano della polizia, di Mahsa Amini, la ventiduenne arrestata perché non indossava adeguatamente il velo, le famiglie delle persone che hanno perso la vita durante le rivolte “Woman Life Freedom” continuano a subire intimidazioni e divieti anche per le commemorazioni funebri, con il solo fine di imporre silenzio e impunità.

Il rapporto. Una nuova ricerca pubblicata da Amnesty International descrive come le autorità iraniane abbiano sottoposto le famiglie dei manifestanti uccisi durante le rivolte ad arresti e detenzioni arbitrarie, imponendo restrizioni alle riunioni pacifiche davanti alle tombe dei propri cari e distruggendo, spesso, le lapidi stesse. Fino a ora nessun funzionario delle forze di sicurezza è stato ritenuto responsabile dell’uccisione illegale di centinaia di uomini, donne e bambini durante la brutale repressione. Per l’organizzazione il dolore e l’angoscia inflitti alle persone dalle pratiche abusive della polizia costituiscono una violazione del divieto assoluto di tortura e di trattamenti crudeli, inumani e degradanti previsto dal diritto internazionale.

La crudeltà senza limiti. Nel tentativo di nascondere i crimini, il potere iraniano sta aggravando l’angoscia e la sofferenza delle famiglie delle vittime impedendo loro di chiedere giustizia e verità o addirittura di piantare fiori sulle tombe dei propri cari. Con l’avvicinarsi dell’anniversario della rivolta, le famiglie temono che la polizia utilizzerà le consuete tattiche repressive per impedire loro di organizzare commemorazioni, dice Diana Eltahawy, vicedirettrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. Amnesty ha documentato in questa ultima pubblicazione i casi di 36 famiglie di vittime provenienti da 10 province del Paese che hanno subito violazioni dei diritti umani negli ultimi mesi. Tra queste figurano i parenti di 33 persone uccise illegalmente dalle forze di sicurezza durante le proteste; le famiglie di due persone giustiziate arbitrariamente sempre in relazione alle manifestazioni e la famiglia di un sopravvissuto alla tortura che si è suicidato dopo essere stato liberato.

Gli abusi. Le violazioni inflitte alle famiglie delle vittime includono arresti e detenzioni arbitrarie; procedimenti giudiziari ingiusti basati su false accuse di sicurezza nazionale formulate in modo vago, che, in alcuni casi, hanno portato a condanne al carcere e alla fustigazione; convocazioni improvvise e interrogatori da parte della procura o delle forze di sicurezza; sorveglianza illegale e, infine, distruzione delle tombe dei cari.

Le storie. Nel luglio 2023, la madre del sedicenne Artin Rahmani, ucciso dalle forze di sicurezza il 16 novembre 2022 a Izeh, nella provincia del Khuzestan, ha scritto su Twitter: “Le autorità della Repubblica islamica hanno ucciso mio figlio innocente, hanno imprigionato mio fratello e mi hanno convocato in procura con l’accusa di aver chiesto giustizia per l’omicidio di mio figlio, al solo scopo di farmi stare zitta. I cittadini iraniani non hanno il diritto di protestare e ogni tentativo di ricerca della libertà viene represso con grande violenza”.

“L’assassino di mio fratello”. Nell’aprile 2023, la sorella di Milad Saeedianjoo, ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze dell’ordine a Izeh, nella provincia del Khuzestan, il 15 novembre 2022, ha scritto su Instagram: “Alla persona che, nel giorno del compleanno di mio fratello, mi ha afferrato i capelli, mi ha torturato con un manganello e ha calpestato la tomba di mio fratello davanti ai miei occhi... Qual è il verdetto che ti sei dato per tutto questo? Mi è stato dimostrato chi è l’assassino di mio fratello. La nostra famiglia non ha presentato denuncia in nessun tribunale iraniano perché è inutile andare dall’assassino per sporgere denuncia contro l’assassino…”

La repressione sulle cerimonie. Le autorità hanno cercato di impedire alle famiglie delle vittime di tenere cerimonie sulle tombe dei loro cari, anche in occasione dei compleanni. I parenti delle persone uccise che hanno organizzato riunioni, spesso con aria di sfida, hanno raccontato che le forze di sicurezza hanno represso violentemente le cerimonie, picchiando o arrestando arbitrariamente i presenti.

Le tombe distrutte. Amnesty International ha documentato la distruzione delle tombe appartenenti a più di 20 vittime provenienti da 17 città. Le lapidi sono state danneggiate con il catrame, la vernice o con incendi dolosi, in alcuni casi. In altri sono state rotte e le frasi incise, che descrivono le vittime come “martiri” o raccontano che sono morte per la causa della libertà, sono state cancellate. Alcune tombe sono state danneggiate dalle forze di sicurezza davanti ai familiari; altre sono state distrutte durante la notte o in momenti in cui nessuno era presente.

La tomba di Mahsa Amini. La famiglia della ventiduenne uccisa lo scorso settembre ha parlato pubblicamente dei ripetuti danni alla lapide della ragazza. Le autorità hanno annunciato l’intenzione di rendere il cimitero di Aichi a Saqqez, nella provincia del Kurdistan, dove è sepolta, meno accessibile al pubblico. La tomba di Mahsa Amini in questi mesi è diventata un luogo in cui le famiglie delle persone uccise illegalmente durante le proteste si sono riunite per trovare conforto e solidarietà e confermare la loro determinazione nel cercare giustizia.