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di Chiara Cruciati

Il Manifesto, 2 ottobre 2022

The time has come, ieri la mobilitazione di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, dall’Australia all’Europa. Coinvolte Roma, Bologna, Piacenza, Venezia, Milano.

Ci sono le iraniane e gli iraniani della diaspora dietro la rete di mobilitazione globale che ieri ha portato centinaia di migliaia di persone in 158 città, in solidarietà con la rivolta che sta attraversando il paese e guidata da donne e giovani.

Reykjavik, Bucarest, Melbourne, New Orleans, Barcellona, Liverpool, Oslo, Monaco, Tokyo, Quito, Cracovia, Smirne. E in Italia Roma, Bologna, Milano, Piacenza, Venezia, Padova. La lista potrebbe continuare.

Lo slogan è lo stesso, “The time has come”, il poster anche: l’iconica immagine di una donna iraniana con il pugno alzato in piedi sopra un cassonetto bruciato. Una rete costruita in questi giorni soprattutto dalle associazioni degli studenti iraniani nel mondo, come nel caso italiano.

Qui è stata preceduta dai due sit-in di Non una di meno di fronte all’ambasciata di Teheran nella capitale, a cui ha fatto seguito ieri quella dei Radicali.

Ieri mattina il corteo romano è partito da Piazza della Repubblica per raggiungere Madonna di Loreto, a fianco del Vittoriale. Un migliaio le persone in un corteo rumoroso e colorato, tra le note di Bella ciao e lo slogan che ha accompagnato fin dal principio la rivolta in corso in Iran, “Donne vita libertà”.

Tante le donne che si sono tagliate ciocche di capelli in piazza in solidarietà con le iraniane, altre quelle con il volto di Jhina Mahsa Amini sulla maglietta, la 22enne curda la cui uccisione per mano della polizia morale ha fatto da scintilla alla mobilitazione. Scene simili nelle altre città coinvolte.

E in rete cresce la mobilitazione dei lavoratori tech iraniani in diaspora che disattivano gli account social degli arrestati in Iran per impedire che le autorità trovino prove della dissidenza, costringendoli ad anni di carcere.

Brasile. “Un’ondata di speranza contro la strategia dell’odio”

di Paolo Vittoria

Il Manifesto, 2 ottobre 2022

Ritorno al futuro. Intervista a Marcia Tiburi, scrittrice e filosofa in esilio dopo la persecuzione del Movimento Brasil Livre. “L’attuale governo ha usato la pandemia come arma biologica contro i poveri, in particolare gli indigeni”.

Marcia Tiburi, scrittrice, filosofa femminista brasiliana si trova in esilio a Parigi per i continui attacchi da parte di gruppi violenti come il Movimento Brasil Livre. Oggi guarda alle elezioni del suo Paese con fiducia, ma una possibile vittoria di Lula non sarà sufficiente a sconfiggere il clima di odio e disinformazione innescato dal “bolsonarismo”…

Come vivi questa vigilia delle elezioni in Brasile?

Con molta ansia ed aspettativa di cambiamento. Sono stati quattro anni terribili, anche per me che sto fuori dal Brasile da quell’epoca. Negli ultimi giorni un’ondata di speranza, di gioia ed amore ha preso il sopravvento nelle strade e sui social contro l’odio che alimenta l’estrema destra. Molti credono nella vittoria al primo turno. Spero di sbagliarmi, ma penso che avremo un secondo round e la competizione sarà agguerrita.

La campagna di Lula è basata sull’amore contro l’odio; la verità contro la menzogna: cosa c’è al di là di queste semplificazioni?

Il sentimento di odio ha favorito il potere di soggetti come Bolsonaro. Hanno bisogno di creare un nemico da colpire, dal Partido dos Trabalhadores, all’anticomunismo delirante, all’antifemminismo o antiecologismo. La campagna di odio attacca intellettuali e professori, attivisti o persone pensanti, ma è anche un odio generico. Il Movimento Brasil Livre - ad esempio - ha come tattica la violenza: nel mio caso ha creato una campagna di diffamazione, invadeva luoghi in cui ero invitata, aggrediva le persone, faceva attività di disturbo usando maschere del loro leader Kim Kataguiri. Hanno prodotto video e immagini diffamatorie, fake news, ho ricevuto minacce di morte per telefono e nelle reti sociali fino a dover lasciare il Paese. Usano la mia immagine anche perché sono una donna, professoressa di filosofia, impegnata nella vita pubblica. La campagna basata sull’amore e la verità ha il merito di non incitare questo sistema.

Sconfiggere Bolsonaro non significa sradicare questa tendenza al fascismo …

Il bolsonarismo è ampio: dalle élite-oligarchie a un fascismo alla brasiliana che attinge le masse popolari ed è mosso da questo discorso di odio, ripetendolo e spargendolo all’infinito. Bolsonaro sembra essere un ipnotizzatore in un gioco di comunicazione per manipolare la mente e la sensibilità. Credo che vada letto come problema lacaniano, nel senso che è un processo del linguaggio che ha effetto nell’inconscio delle masse ed è pericoloso perché attinge anche persone comuni che non aderiscono ideologicamente al fascismo. Nel 2013-14 parlavo della fascistizzazione del Brasile nel libro Como conversar com um facista ma non tutti capivano. Il fascismo è cresciuto con le manifestazioni del 2013 con il Movimento Brasil Livre patrocinato dall’estrema destra internazionale. Agitatori fascisti, come nell’epoca di Mussolini, creano i primi fuochi di tensione e di odio che portano alla fascistizzazione per muovere le masse. Ci sono in Brasile 500 cellule nazifasciste che devono essere processate, ma siamo diventati uno Stato di eccezione che non rispetta la Costituzione.

Le manifestazioni in Brasile del 2013-14 erano iniziate contro l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici, contro le speculazioni sui Mondiali e le Olimpiadi. Come mai hanno preso una piega di destra eversiva?

Perché la sinistra non fa populismo né manipolazione di massa, ha ancora un parametro morale mentre il gioco dei fascisti è la menzogna, la fake news senza scrupolo, l’orchestrazione del discorso di odio. La sinistra ha tardato a diagnosticare quello che stava accadendo su teorie che si fingono razionali, ma hanno la codardia dell’inganno. Adesso c’è un vasto materiale mediatico, antropologico, giuridico, come quello di Deisy de Freitas de Lima Ventura, professoressa della Universidade de São Paulo, che con gli atti dimostra come il governo Bolsonaro abbia usato la pandemia e il virus come arma di guerra biologica contro i popoli più poveri, in particolare gli indigeni: materiale che può essere utilizzato dal tribunale internazionale.

Cosa dovrà fare Lula, se eletto?

Nel caso di vittoria, Lula dovrà affrontare oligarchie che non hanno un minimo di etica né rispetto per il Paese, per le leggi o istituzioni, che continueranno a minare lo Stato e la società brasiliana. Sarà molto difficile governare e neutralizzare i settori vampireschi della società. La loro tattica viene da un progetto pubblicitario che Steve Bannon ha venduto all’estrema destra, anche quella italiana: esporre preconcetti, attaccare, minacciare con urla, insulti, usando una manipolazione psichica molto forte, lavaggio cerebrale, psicopotere come tecnologia politica. Usano la disinformazione con molto denaro proveniente da grandi settori finanziari. Continueranno a incitare alla guerra civile come fa Bolsonaro dal 2016 che parla da leader di una setta e ha liberato le armi, l’agrotossico, l’esplorazione dell’oro in Amazzonia, la deforestazione, fa elogio e difesa della morte. Queste manifestazioni di violenza dovranno essere punite secondo la legge e bisognerà costruire un progetto di Paese che passi per l’educazione e la cultura, un programma interdisciplinare di politiche pubbliche in grado di smontare queste scene di brutalità, di regolamentare i mezzi di comunicazione e disinnescare l’odio nelle reti sociali.