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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2023

L’effetto di ridurre il massimo edittale non è consentito nella fase che precede l’accertamento concreto della diminuzione di pena. La Corte costituzionale - con la sentenza n. 146/2023 - sollecita il Legislatore a rivalutare la possibilità di estendere la messa alla prova ai casi in cui sussistano gli estremi - in assenza di alcuna aggravante - per il riconoscimento di un’attenuante ad effetto speciale e senza limitarne il riconoscimento nella misura minima. Dando cioè la possibilità di sospendere il processo e ammettere a lavori socialmente utili l’imputato grazie a un’anticipata presa in conto di una diminuente che se considerata nel massimo consente di scendere al di sotto della soglia del massimo edittale entro cui l’istituto di giustizia riparativa diventa applicabile. Infatti, l’articolo 168 bis del Codice penale ammette l’imputato al beneficio di poter evitare il processo e la detenzione solo quando si è imputati di reato sanzionato nel massimo entro i 4 anni.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Consulta il Giudice dell’udienza preliminare ha dovuto negare l’istanza per la messa alla prova a un imputato di omicidio stradale che astrattamente appariva rientrare - in tale fase processuale - nella previsione del settimo comma dell’articolo 589 bis che in caso di concorso della vittima consente al giudice di ridurre la pena “fino” alla metà. Mentre il regime attualmente applicabile consente di riconoscere anticipatamente tale attenuante solo nella misura minima che corrisponde a un giorno. Ciò impediva appunto nonostante tutti gli indici positivi ascrivibili all’imputato istante di concedergli l’ammissione alla messa alla prova con corrispondente sospensione del processo.

L’accertamento concreto - Secondo il Gup rimettente vi sarebbe, cioè, un solo impedimento all’ammissibilità della richiesta dell’indagata nella fase dell’udienza preliminare: la pena edittale per il reato di omicidio stradale “base” (ossia non circostanziato) è la reclusione da due a sette anni; pena che, per effetto dell’attenuante del settimo comma, è diminuita “fino alla metà” sicché nel minimo potrebbe essere la reclusione di un anno, ma nel massimo, potendo la pena essere diminuita anche di un solo giorno, rimarrebbe comunque superiore alla soglia di quattro anni. Ciò comporterebbe la violazione degli articoli 3 della Costituzione per l’asserita disparità di trattamento in altre situazioni simili (ad esempio le lesioni colpose stradali) e dell’articolo 27 che mira a una pena rieducativa.

Quindi il giudice del rinvio costituzionale chiede alla Consulta di dichiarare l’articolo 168 bis del Codice penale incostituzionale nella parte in cui non consente l’accesso alla prova nella particolare ipotesi dell’omicidio stradale commesso con concorso di colpa della vittima.

La messa alla prova sotto la lente della Consulta - L’introduzione di questa misura è pressoché contemporanea a quella della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. E la giurisprudenza ha ritenuto sussistere un parallelismo tra messa alla prova e citazione diretta in ordine però alle aggravanti a effetto speciale: se il reato è più grave per l’esistenza di un’aggravante a effetto speciale, non è possibile la citazione diretta, né è ammissibile la richiesta di messa alla prova. Ma vi sono anche orientamenti che hanno affermato che l’effetto escludente delle aggravanti ad effetto speciale fosse (testualmente) previsto solo per i casi di citazione diretta. Cioè una tesi più favorevole quest’ultima ad ampliare il perimetro della concedibilità della messa alla prova. E le Sezioni unite, investite della composizione del contrasto di giurisprudenza, hanno accolto quest’ultima interpretazione.

La “pena edittale” ex articolo 168-bis Cp è quella prevista per il reato non circostanziato e quindi, in particolare, non assumono a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

Quindi l’effetto pratico di questo orientamento è che la messa alla prova è possibile anche in caso di reati che, tenendo conto dell’aggravante a effetto speciale, potrebbero essere puniti con una pena ben maggiore di quella di quattro anni di reclusione, stabilita come discrimine dall’articolo 168-bis del Codice penale.

Riforma Cartabia - Con la recente riforma il legislatore ha ulteriormente puntato sulla messa alla prova dell’indagato o imputato con sospensione del procedimento. Infatti, nella legge delega della riforma targata Cartabia era previsto:

- di estendere l’ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato a ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto:

- di prevedere che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero.

Il Legislatore delegato con il decreto legislativo 150/2022 in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari ha esteso l’elenco dei reati a citazione diretta per i quali è anche possibile la messa alla prova puniti mediamente con pena edittale di cinque anni di reclusione o addirittura sei. Ben oltre la soglia di quattro anni di cui all’articolo 168-bis, primo comma, del Codice penale.

Il legislatore, anche dopo la recente riforma del 2022 ha lasciato invariato l’iniziale scelta di individuare i reati, per i quali è consentita la messa alla prova, sulla base della pena edittale detentiva prevista in misura non superiore nel massimo a quattro anni; pena che, in quanto “edittale”, è riferita alla fattispecie del reato non circostanziato.

Si tratta di una scelta di politica criminale rimessa alla discrezionalità del legislatore, il quale non irragionevolmente ha fissato una soglia di pena massima irrogabile, quale discrimine per l’accesso al beneficio, e ciò ha fatto con riferimento a quella edittale, prevista per il reato base non circostanziato, senza quindi dare rilievo alle circostanze né aggravanti né attenuanti, quantunque ad effetto speciale.

Messa alla prova e particolare tenuità - È vero che, invece, per il parallelo - e pressoché contemporaneo - istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto rileva la diminuzione di pena in ragione dell’applicazione delle attenuanti ad effetto speciale, al pari del suo aumento ove ricorrano circostanze aggravanti, anch’esse ad effetto speciale. Ma ciò si spiega in ragione dell’accertamento, ad opera del giudice, dell’effettiva sussistenza delle circostanze al fine della dichiarazione della suddetta causa di non punibilità.

Invece, nel caso della messa alla prova, il processo è sospeso e la valutazione del giudice è fatta in limine, ossia prima dell’accertamento giudiziale sull’incolpazione e quindi prima che possa risultare il concorso di un’attenuante a effetto speciale. E in mancanza di un meccanismo processuale di verifica anticipata della sussistenza di attenuanti a effetto speciale, non è irragionevole che il criterio distintivo di identificazione dei reati, per i quali è possibile la messa alla prova, rimanga affidato alla pena edittale nel massimo, senza considerare né le aggravanti, né le attenuanti, quantunque ad effetto speciale. Affinché possano essere pienamente rilevanti, a tal fine, le attenuanti a effetto speciale, secondo la prospettazione del giudice rimettente, dovrebbe introdursi un più favorevole criterio di computo, quale in ipotesi sarebbe quello della massima (e non già della minima) riduzione possibile.

Tuttavia, appartiene alle scelte di politica criminale del legislatore una tale opzione che non potrebbe essere limitata all’attenuante di cui al settimo comma dell’articolo 589 bis Cp, ma dovrebbe riguardare in generale il criterio di computo delle attenuanti ad effetto speciale, una volta che se ne introducesse la rilevanza agli effetti della messa alla prova. Anche sotto questo profilo le censure di disparità di trattamento e di irragionevolezza intrinseca appaiono non fondate.

Le conclusioni e l’input al legislatore - Sul punto della mancata applicabilità della messa alla prova a causa del massimo edittale superiore ai 4 anni la Consulta afferma che “ove risultasse in giudizio che effettivamente l’evento non sia stato esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione dell’imputata del reato di omicidio stradale, in ragione del concorso di colpa della vittima, la pena potrebbe essere ridotta fino a metà di quella prevista per il reato non circostanziato e, in tal modo, soccorrerebbero altri istituti (quali le misure alternative alla detenzione, nonché la sospensione condizionale della pena), parimenti ispirati ad evitare la condanna ad una pena che possa essere percepita come non proporzionata e quindi tale da non favorire la risocializzazione del condannato”.

Ma dice la Consulta in chiusura della sua decisione di non fondatezza della questione che “rimane la criticità segnalata dal giudice rimettente. L’allargamento dell’area di applicazione della messa alla prova con sospensione del procedimento penale anche a reati molto gravi, in ragione delle aggravanti ad effetto speciale, non preclusive dell’accesso al beneficio, ha però lasciato immutata la perdurante mancanza di rilevanza, a tal fine, delle attenuanti parimenti ad effetto speciale, che, all’opposto, possono ridurre notevolmente la pena, talora finanche in misura inferiore a quella prevista per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. È quindi auspicabile una più ampia ammissibilità del beneficio della messa alla prova con sospensione del procedimento anche per reati che sono decisamente meno gravi proprio in applicazione di attenuanti ad effetto speciale. Di ciò non potrà non farsi carico il legislatore”.