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di Victor Magiar

Corriere della Sera, 23 aprile 2023

Un’esigua maggioranza parlamentare (che rappresenta il 49% degli elettori) vuole introdurre diverse norme che metterebbero in discussione fragili equilibri, sia istituzionali (fra i poteri dello Stato) che sociali, etnici e religiosi. Tutti gli Stati nascono due volte: prima come nazione e poi come democrazie.

La prima nascita, quella nazionale, è caratterizzata dallo scontro contro forze esterne, contro un nemico esterno, un potere straniero. La seconda nascita, quella valoriale - quella che definisce i contenuti, la scala di principi morali condivisi, il carattere di un popolo - è caratterizzata da una guerra civile o da una serie di guerre civili, fratricide, spesso segnate da connotati religiosi.

Gli esempi non mancano: la Francia nasce come primo stato nazione d’Europa dopo aver sconfitto inglesi e tedeschi nel XIII secolo; rinasce nel 1789 come Repubblica e definisce, con la Rivoluzione Francese, il proprio carattere nazionale, lo stesso che conserva ancora oggi. Gli Stati Uniti d’America nascono nel 1776 con una Guerra di Indipendenza contro gli inglesi ma poi nascono una seconda volta nel 1861 con una drammatica guerra civile, ovvero la Guerra di Secessione, presentata soprattutto come la guerra contro la schiavitù ed anche come lo scontro fra l’arretrata società rurale e la moderna società industriale metropolitana. Anche l’Italia, che nasce come Regno nel 1861, rinasce nel 1948 come Repubblica democratica, dopo una sanguinosa guerra civile e di liberazione. Questo è il percorso di ogni popolo, di ogni democrazia: l’esito non è scontato. Questo è il passaggio ineludibile che attende lo Stato d’Israele. Saprà Israele approdare ad un nuovo ordine istituzionale evitando che lo scontro diventi una vera e propria guerra civile? Che ruolo avranno in questa vicenda polizia, intelligence ed esercito?

È bene aver presente che Israele è nato 75 anni fa combattendo contro soverchianti nemici esterni - il nazionalismo fascistoide arabo, il panarabismo, il panislamismo - combattendo una guerra nazionale, non solo per stabilire un diritto primario, quello di essere nazione, ma soprattutto per garantire la propria sopravvivenza. È stata proprio la lotta costante per la sopravvivenza a spiegare la necessità della convivenza, a tenere unito un Paese altrimenti diviso dalle sue mille differenze: basti pensare agli oltre a 70 gruppi etnico linguistici diversi, fra cui molti “tipi” di ebrei (alcuni di questi non prestano nemmeno nel servizio militare), molti “tipi” di arabi (alcuni dei quali prestano servizio militare) e molti “tipi” di non-ebrei-non-arabi (alcuni dei quali prestano servizio militare).

Questa condizione di necessitata convivenza ha generato uno status quo giuridico e politico che ha permesso fino ad oggi di supplire alla mancanza di un’architettura costituzionale che sancisse rigidamente e formalmente alcuni principi, fra cui la divisione dei poteri, le forme di garanzia per le leggi fondamentali dello Stato e la laicità dello Stato (questione assolutamente decisiva in un paese abitato da decine di confessioni religiose diverse). Oggi, questo status quo è stato rotto: un’esigua maggioranza parlamentare (che rappresenta il 49% degli elettori) vuole introdurre diverse norme che metterebbero in discussione fragili equilibri, sia istituzionali (fra i poteri dello Stato) che sociali, etnici e religiosi. Israele non si divide solo su una singola importante riforma, quella della Corte Suprema, ma sulle oltre 100 nuove proposte di legge che, rompendo l’attuale status quo, cambierebbero il carattere o, meglio, l’anima del Paese.

Anche se sono già passati dei mesi, lo scontro vero è proprio non è ancora andato in scena: questa storia è solo all’inizio. Se il governo andrà avanti lo scontro sarà più duro, ed è ragionevole pensare che scorrerà anche del sangue: solo a quel punto forse si inizierà a ragionare per stabilire un nuovo compromesso. La gravità della situazione è ben dimostrata non solo dal fatto che dopo mesi la contestazione sembra inarrestabile (coinvolgendo tutti i settori della società compresi molti elettori della stessa maggioranza) ma soprattutto dal fatto che sembrano coinvolti nella contestazione popolare persino la polizia, il sistema dell’intelligence e l’esercito, istituzioni peraltro assolutamente contrarie alla proposta di creare una cosiddetta Guardia Nazionale.

È bene aver presente che l’esercito israeliano è la più importante istituzione del Paese: multietnico, laico e multireligioso, l’esercito insegna ai giovani di diverse provenienze a lavorare insieme, a combattere insieme, a vivere e morire insieme. La tenuta del carattere multietnico, multireligioso e inclusivo dell’esercito è il primo presupposto per la tenuta stessa del Paese. L’esercito non può permettere la rottura dello status quo che per 75 anni ha permesso questa potente coesione - fra ebrei, drusi, circassi, beduini, cristiani ed altri gruppi - che ha garantito la sicurezza del Paese secondo il principio “non c’è sicurezza senza democrazia, non c’è democrazia senza sicurezza”: nessuno si deve illudere che gli israeliani non combatteranno per ciò in cui credono. Per 75 anni questo status quo ha fatto di Israele un Paese molto progredito, moderno in ogni suo aspetto, avanzatissimo centro culturale, scientifico e tecnologico, ormai noto come Start-up Nation e, secondo il World Happiness Report, sarebbe anche il quarto paese più felice al mondo. Gli israeliani non possono tornare indietro.