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di Davide Frattini

Corriere della Sera, 23 luglio 2023

I manifestanti hanno marciato per quattro giorni, ma il primo ministro, ricoverato per l’installazione di un pace maker, potrebbe ora licenziare la procuratrice che si è opposta al suo “golpe”. L’appuntamento è a piazza della Democrazia, l’indirizzo non esisteva fino a sette mesi fa, la maggior parte degli israeliani sa come arrivarci. Tra via Kaplan e viale Begin da quasi 30 settimane partono le manifestazioni per protestare contro il piano giustizia del governo di destra-estrema destra, a Tel Aviv i cortei sono i più numerosi, creativi e organizzati, così il sindaco Ron Huldai, laburista, ha voluto dare un nome all’incrocio dove oltre al traffico i dimostranti vogliono fermare quella che considerano una svolta autoritaria, un rischio per la democrazia. Per sette mesi i manifestanti si sono presentati davanti alle case dei ministri, hanno urlato slogan e ripetuto la parola che è diventata un ritornello: “Vergogna”.

Da oggi la sfida di sguardi è diretta. In 80 mila hanno marciato per quattro giorni, un corteo lungo chilometri, a piedi sulla corsia d’emergenza dell’autostrada - per i partecipanti è l’emergenza più grande dalla nascita di Israele nel 1948 - e da ieri notte si sono accampati dalle parti del parlamento a Gerusalemme. Dove tra domani e dopo si votano i due passaggi finali della legge che toglie alla Corte Suprema uno dei suoi poteri: respingere decisioni amministrative del governo - nomine di funzionari o ministri, interventi sulle procedure - considerati “irragionevoli”. Se le norme dovessero essere approvate, com’è probabile, il primo ministro Benjamin Netanyahu potrebbe licenziare la procuratrice generale dello Stato che si è opposta al suo “golpe” e reintegrare Aryeh Deri come ministro, la nomina era sta bocciata perché il leader ultraortodosso aveva evitato la galera per frode fiscale con la promessa ai giudici, solo un anno fa, di ritirarsi dalla politica.

All’inizio della settimana più caotica delle ultime 30, gli israeliani hanno anche scoperto che il breve ricovero del premier sabato scorso per “disidratazione” e “un colpo di calore” è in realtà qualcosa di più grave: a Netanyahu è stato installato nella notte un pace make r, problemi cardiaci, resta per ora in ospedale. Così saltano il consiglio dei ministri della domenica e quelle riunioni urgenti richieste dallo Stato Maggiore: la ribellione tra i riservisti diventa sempre più ampia, oltre mille aviatori hanno firmato una lettera in cui annunciano il rifiuto di presentarsi all’addestramento e al servizio attivo, tra loro 513 piloti, di fatto l’aviazione - spiegano gli analisti - ha perso la sua operatività. Quelli che i ministri - e perfino Netanyahu, che dovrebbe saperne di più - sbeffeggiano come “inutili, possiamo trovarne migliori di voi” - sono in realtà essenziali, rappresentano l’élite delle forze armate. E sono sostenuti da un altro documento presentato da ex generali e capi dei servizi segreti che denunciano il piano giustizia come un “colpo fatale alla sicurezza del Paese” e la “rottura del contratto sociale durato 75 anni tra lo Stato e le migliaia di soldati, riservisti, comandanti”.