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di Daniele Zaccaria

Il Dubbio, 8 marzo 2023

Scioperi, cortei e scontri di piazza per di fendere la Corte suprema. L’ultimo spiacevole intoppo è anche una piccola umiliazione per Benjamin Netanyahu: fino a ieri non si trovavano infatti piloti disponibili per trasportarlo a Roma dove è atteso dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per un incontro bilaterale.

I vertici della compagnia El Al giurano che dietro il disguido non c’è niente di politico, niente di personale, è solo un problema organizzativo, una temporanea carenza di personale per i Boeing 777, il modello solitamente utilizzato dal premier israeliano per i viaggi all’estero. Nel futuro si doterà di una specie di Air force one, il velivolo si chiamerà “Ala di Sion” ed è già al centro delle polemiche per gli altissimi costi per i contribuenti (possiede sofisticati sistemi antimissile a raggi infrarossi e costa la bellezza di 260 milioni di dollari).

In ogni caso la “diserzione” dei piloti ha mandato su tutte le furie la ministra dei Trasporti Miri Regev, già nota alle cronache per le sue esternazioni ben poco diplomatiche come l’aver definito “terroristi, anarchici e privilegiati” gli israeliani che in queste settimane stanno contestando duramente il premier per la controversa riforma della giustizia del suo governo ultranazionalista. In particolare si era riferita a un gruppo che aveva urlato slogan violenti verso la first lady Sara Netanyahu, “sorpresa” mentre era dal parrucchiere, chiedendone persino “l’arresto immediato”.

Alla fine il premier dello Stato ebraico è volato a Roma cambiando semplicemente aereo, anche se il quotidiano Times of Israel sostiene che quello della El Al è stato un vero e proprio atto di disobbedienza politica, uno smacco simbolico per un leader che sta tentando di attuare una riforma che cambierebbe le stesse fondamenta istituzionali di Israele. L’obiettivo della risicatissima maggioranza parlamentare che sostiene l’esecutivo, è infatti la limitazione dei poteri della Corte suprema che nell’ordinamento attuale dispone del diritto di veto su alcune leggi promosse dal governo.

Diverse volte nel corso degli anni gli alti giudici hanno respinto misure e provvedimenti reputati contraddittori con le Leggi fondamentali (Israele non ha una vera e propria Costituzione). In un sistema politico così pluralista e frammentato le indicazioni negative della Corte possono senz’altro rallentare i processi decisionali e l’approvazione delle leggi, ma si tratta della natura stessa della democrazia israeliana che con la riforma Netanyahu verrebbe snaturata, indebolendo il principio di separazione dei poteri.

Inoltre la coalizione intende modificare i criteri di nomina della Corte che verrebbe selezionata dall’esecutivo, facendone poco più che una propaggine del potere politico. Dal canto suo la Corte ha già risposto, dichiarando Netanyahu in palese conflitto di interessi, visto i procedimenti giudiziari a suo carico “Sono una banda di vecchi sinistrorsi radical chic”, aveva tuonato il premier prima di lanciare l’offensiva contro i giudici.

Ma la società israeliana ha reagito e il progetto di riforma è riuscito nel mezzo miracolo di unire le opposizioni solitamente litigiose e divise su quasi tutto. Scioperi, cortei e anche momenti di altissima tensione con le forze dell’ordine che hanno impiegato gas lacrimogeni, cannoni d’acqua e granate assordanti per disperdere i dimostranti, hanno segnato il rovente clima politico delle ultime settimane in Israele. Oltre ai simpatizzanti di sinistra e ai ceti medi delle città, anche i militari hanno raggiunto la protesta che mai come oggi è trainata dal basso con tutti i partiti che le vanno a rimorchio.