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di Mario Arpaia

memoriacondivisa.it, 16 agosto 2023

La sofferenza psichica nelle carceri sta raggiungendo dei picchi intollerabili per un Paese che si ritiene civile. Cosa c’è di giusto nell’amministrazione pubblica che ci accomuna ai popoli del centro Nord dell’Europa. Morire con il cappio al collo, ben stretto dal lenzuolo in una estate torrida perfino sulla Costa Smeralda.

Noi che abbiamo visitato le carceri, sappiamo in quale inferno sono costretti a vivere, contare minuti ore, giorni, anni senza fare letteralmente nulla. Morti che camminano straziati dall’angoscia che quando ti prende non ti abbandona più. La depressione ti fa due buchi, uno nello stomaco, l’altro il tunnel nel quale sei precipitato, con quel lumicino che giorno dopo giorno va spegnendosi. Non c’è Axanax che allenti il pensiero fisso del suicidio. Danno i sedativi senza l’antidepressivo che costa tantissimo, senza la sorveglianza dello psichiatra e dello psicologo. Vi suggeriamo di trasformate il carcere di Foggia, in Ospedale psichiatrico, la città ha una grande esperienza per la cura delle malattie mentali, ha avuto uno dei più grandi Manicomi d’Italia, il don Uva.

Abbiamo allegato le promesse di qualche anno fa, ci sono foto ed un filmato. Uomini d’onore fatevi avanti, politici impegnati e sensibili alla causa, battete un colpo, Associazioni, spostate il macigno che chiude le strade tra il Dap, il Ministro della Giustizia, il Governo che, quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare.

Dall’inizio di quest’anno fino a 2 giorni fa, 38 detenuti delle carceri italiane hanno scelto di togliersi la vita. Dei 38 suicidi, 18 erano stranieri; due le donne e ben 14 giovani tra i 20 e i 30 anni. Facendo un calcolo veloce e a spanne, ci si accorge che più di una persona si suicida ogni 5 giorni. Ce lo ricorda l’ennesimo rapporto di Antigone, al quale è stato posto il titolo: “La calda estate delle carceri”.

“Il dossier Morire di carcere, curato da Ristretti Orizzonti, ci ricorda anche che da 10 anni a questa parte, nei mesi da gennaio a giugno, le persone che si toglievano la vita raggiungevano il numero minimo di 19 e un massimo di 27. Fu nei 12 mesi che intercorrono tra il 2010 e il 2011 che il numero di 38 suicidi fu simile a quello registrato oggi: rispettivamente 33 e 34. Le carceri italiane in quel periodo soffrivano del grave, endemico problema del sovraffollamento come forse non era mai accaduto prima, tanto che la Corte Europea condannava l’Italia per “violazione del divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti”.

In carcere ci si toglie la vita 16 volte di più rispetto a fuori. La situazione odierna dietro le sbarre dei penitenziari italiani è assai diversa: il numero di detenuti è assai inferiore rispetto ad allora, ma nonostante questo le gravi mancanze strutturali e il malessere delle persone detenute permangono. È superfluo forse sottolineare che ogni scelta individuale di togliersi la vita, ha un suo percorso, una sua storia. Ma quando il numero complessivo dei suicidi mostra una netta tendenza a salire, il fenomeno nel suo complesso segnala origini comuni, che non possono essere ignorate e vanno affrontate nel loro insieme, si sottolinea nel report di Antigone. Il dato che emerge, insomma, è che in carcere ci si leva la vita 16 volte di più rispetto a quanto avviene al di là delle sbarre.

Regina Coeli, Foggia e San Vittore. Il primo posto come numero di suicidi spetta alla Casa Circondariali di Roma Regina Coeli, Foggia e Milano San Vittore. Seguono con due casi la Casa di Reclusione di Palermo Ucciardone, la Casa Circondariale di Monza, la Casa Circondariale di Pavia e la Casa Circondariale Genova Marassi, dove nel 2021 nell’arco di 30 giorni si sono suicidate tre persone. Con due decessi avvenuti tra il mese di giugno e luglio, si arrivano così a contare cinque casi di suicidi nel carcere di Pavia in soli nove mesi.

Il sovraffollamento cronico. A Foggia, Regina Coeli e Monza il sovraffollamento è del 150% della loro capienza. E ancora: a San Vittore, Pavia e Regina Coeli oltre la metà della popolazione detenuta è straniera. Monza ha invece il primato dei detenuti con patologie psichiatriche e più del 50% dei reclusi soffre di tossicodipendenze. A Foggia - altro esempio di carenze strutturali del sistema carcerario - c’è un educatore ogni 190 detenuti e una pressoché totale assenza di supporti psichiatrici e psicologici.

Il carcere, luogo psico-patogeno. Eppure, risulta che il 13% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave. “Nell’ambito della questione delle condizioni di salute della popolazione detenuta, quello della salute mentale - si legge nel rapporto - rimane il capitolo più significativo nei numeri e più problematico nelle risposte date dalle aziende sanitarie e dall’amministrazione penitenziaria”. Ogni dato che emerge, continua a confermare come il carcere sia un luogo “psico-patogeno” dove il disagio psichico è diffuso e si autoalimenta, ed ha carattere capillare e omogeneo su tutto il territorio nazionale. I “disturbi psichici” dunque riguardano la metà delle patologie rilevate nella popolazione carceraria. Le altre patologie più diagnosticate sono quelle cardiocircolatorie ed endocrine, del metabolismo e immunitarie.

Il massiccio uso di psicofarmaci. Le rilevazioni di Antigone mostrano la tendenza di gestire il disagio psichico ricorrendo meno possibile ai servizi sanitari esterni al carcere. La salute mentale, insomma, deve trovare soluzioni all’interno del perimetro carcerario. Un aspetto rilevante ha a che fare con l’uso massiccio di psicofarmaci, anche per persone senza una diagnosi psichiatrica certificata. Secondo Antigone, il 28% dei detenuti assume stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o antidepressivi e il 37,5% sedativi o ipnotici.