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di Giovanni M. Flick* e Caterina Flick**

Il Dubbio, 23 gennaio 2023

Riportiamo di seguito un estratto da “L’algoritmo d’oro e la torre di Babele”, il volume pubblicato per Baldini+Castoldi da Giovanni Maria Flick e da sua figlia Caterina Flick. Al primo si deve il passaggio scelto dalla introduzione, mentre l’avvocata Flick ha curato il capitolo, di cui si propone uno stralcio, su “Tecnologie digitali e norme giuridiche”.

Introduzione - Perché un libro sul rapporto tra informazione e informatica, dopo quello dedicato al rapporto fra ambiente e profitto di fronte allo stress test della pandemia? Perché le due riflessioni richiedono e seguono un percorso e un impegno unitari, indicati con chiarezza dalla Presidente della Commissione Europea. Ursula von der Leyen in occasione del suo insediamento ha posto in evidenza le prime e “massime urgenze” della politica europea. Sono la realizzazione di un modello di sviluppo innovativo, rivolto alla protezione dell’ambiente, della salute e della dignità umana; la battaglia sul clima e la rivoluzione digitale. Sono due temi fra loro intrecciati, nella sinergia fra ecologia e tecnologie digitali. Intendiamo riferirci alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), basate sulla codifica digitale delle informazioni, nelle quali rientrano l’informatica, la cibernetica, l’elettronica e la telematica.

I due temi vengono percepiti spesso in maniera congiunta. Coinvolgono entrambi le persone, le collettività e i paesi per una svolta “epocale” del modo di vivere e di convivere, di lavorare, di produrre e di consumare risorse, di relazionarsi, di conoscere e di ricercare: sia nelle riflessioni più approfondite e specialistiche di carattere scientifico, sia in quelle più semplici ed accessibili tratte dall’esperienza quotidiana, che queste pagine cercano di proporre in modo semplice, senza pretese di completezza e novità.

(...) Chiamiamo civiltà digitale l’insieme delle tecnologie digitali e degli effetti economici, sociali e culturali che ne derivano e che caratterizzano un nuovo stadio dell’economia fondato sulla raccolta, l’organizzazione, lo sfruttamento con diverse modalità di informazioni espresse in forma digitale e diffuse per via telematica. In questa civiltà le tecnologie digitali sono talmente sofisticate che stanno sostituendo la persona in compiti complessi. Il timore è che in un prossimo futuro esse si sostituiscano alla persona anche nelle funzioni più connaturate alla sua identità e coscienza.

Per l’ambiente sembra prevalere la paura di fronte ai primi segni evidenti - come il cambiamento del clima - di quello che potrebbe essere un nuovo diluvio universale. Per la civiltà digitale sembrano invece prevalere l’entusiasmo di fronte al progresso e la sottovalutazione dei rischi che esso può rappresentare in un contesto ormai acquisito e irrinunziabile di vantaggi. Si tratta soprattutto degli interrogativi sulla organizzazione della economia, sul modo di lavorare (lo smart working) e di produrre, su quello di comunicare, di vivere e di relazionarsi con gli altri. Sono interrogativi sottovalutati dai più, sino al punto di non rendersi conto che questa prospettiva, se male gestita in assenza di regole adeguate, può condurre prima o dopo a conseguenze negative per la dignità e i valori fondanti della persona, nonché per i connessi diritti inviolabili e doveri inderogabili (secondo il linguaggio sempre attuale della nostra Costituzione). Un “clima sociale” che potrebbe essere quello di una nuova torre di Babele.

(...) Per questo proponiamo una lettura dell’articolo 9 che - accanto alla attenzione verso la storia e l’ambiente - tenga conto dell’evoluzione del progresso tecnologico per cogliere anche rispetto ad esso, se possibile, qualche indicazione rassicurante sul nostro futuro alla luce del nostro passato. La premessa con cui la Presidente della Commissione della UE ha esordito nel suo impegno rende più consapevole questo tentativo, che muove dalla lungimiranza e dalla saggezza della nostra Costituzione e del Libro dei libri, la Bibbia, al di là del suo significato religioso. È la speranza non solo di superare la paura di un nuovo diluvio universale; ma anche di evitare nell’euforia per lo sviluppo tecnologico la disattenzione verso il pericolo di una nuova torre di Babele. (...)

Tecnologie digitali e norme giuridiche - 1. Interpretare o innovare? Come anticipato nell’introduzione il mondo attuale vive sulle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, qui definite “tecnologie digitali”, perché si basano sulla trasformazione delle informazioni in un codice digitale (numerico). Il cuore di esse è un programma (software) che viene sviluppato in base delle scienze dell’informazione (informatica).

(...) Nei primi anni in cui si sono sviluppate le tecnologie digitali esse erano frammentate, tanto da non consentire di comprendere l’impatto che avrebbero potuto avere sulla persona e sulla società; per questo non era pensabile un intervento dei governi per introdurre delle norme generali.

L’esigenza di introdurre norme giuridiche (costitutive di diritti e doveri) per il dominio delle tecnologie digitali è stata sentita dal momento in cui esse hanno iniziato a essere “alla portata di tutti”; ha subito evoluzioni importanti in corrispondenza dei momenti fondamentali del loro sviluppo. I primi ragionamenti sulla necessità di norme giuridiche risalgono ai primi esperimenti sull’intelligenza artificiale (IA) negli anni ‘50 del XX secolo. Ad allora risalgono le “leggi della robotica” elaborate da Isaac Asimov per un contesto di fantascienza proiettato in un futuro lontanissimo. I suoi principi sono apparsi ancora validi, tanto da essere stati richiamati dal Parlamento Europeo nelle raccomandazioni del 2017 per lo sviluppo (futuro) dell’Intelligenza Artificiale. Il richiamo è indicativo del fatto che i principi da allora non sono cambiati o che non si è ancora trovata un’altra chiave per impostare la relazione tra l’uomo e le tecnologie digitali.

(...) Gli interpreti si sono per lungo tempo divisi. Vi è chi ritiene necessaria la creazione di un nuovo diritto, anche con norme di rango costituzionale, per garantire la sicurezza delle persone di fronte alla eterogeneità e all’impatto delle innovazioni (FROSINI, 2021). Nella posizione opposta chi invece ritiene che il giurista debba ove possibile interpretare le norme esistenti per trovare le risposte adeguate nel sistema giuridico, considerato nel suo insieme (FINOCCHIARO, 2020). La tecnologia procede più rapidamente del diritto e il superamento dei problemi tecnici è compito dei tecnici. Ma senza una visione di sistema si rischia di disciplinare argomenti di dettaglio, in modo disorganico, poco efficace e tardivo. Interpretare è sufficiente se le tecnologie digitali sono strumenti mediante i quali interagiamo fra di noi e con il mondo.

L’approccio del diritto deve invece cambiare se riteniamo che le tecnologie “creano e forgiano la nostra realtà fisica e intellettuale, modificano la nostra autocomprensione, cambiano il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con noi stessi, aggiornano la nostra interpretazione del mondo e fanno tutto ciò in maniera pervasiva, profonda e incessante” (FLORIDI 2017). Creare più che interpretare, partendo dai principi fondamentali. ripensare i diritti umani fondamentali.

(...) 2. Prevedere per regolare. La scrittura digitale è una combinazione fra “scrittura” e “strumento di misura”: agisce sulla realtà attraverso delle regole, tanto da “competere” con le norme del diritto. La digitalizzazione consente delle automazioni di processi ripetendo delle sequenze di numeri; costruisce delle interazioni; crea nuove concatenazioni del reale, mettendo insieme descrizione e azione.

La digitalizzazione (attraverso la codifica, la programmazione, l’aggregazione, la correlazione, il suggerimento) è in concorrenza con la simbolizzazione operata dal diritto (qualificazione del reale tramite categorie giuridiche, dipendenti dal linguaggio, che portano all’interpretazione dei giuristi). I due processi seguono due strade diverse: per il diritto la designazione tramite il linguaggio (la descrizione normativa); per la digitalizzazione la codifica grazie alla rilevazione di dati (Garapon-Lessegue, 2021).

La costruzione delle regole si atteggia in modo molto diverso nel diritto e nell’informatica. Nel diritto - in particolare quello continentale dei paesi che si rifanno al diritto romano - il legislatore afferma principi ed elabora norme generali e astratte. La norma giuridica lascia all’interprete l’applicazione delle norme al caso concreto, secondo la propria sensibilità e discrezionalità e i principi a cui le norme si ispirano.

Il linguaggio legislativo ospita sempre di più parole prese in prestito dal gergo tecnico. Con riferimento alle tecnologie digitali esso utilizza frequentemente termini italianizzati dall’inglese, come la “cooperazione applicativa”, i “servizi di interoperabilità”, i “virus informatici”. È un fenomeno inevitabile, quando la legge regola una realtà socio-economica sempre più complessa; può meritare apprezzamento nella misura in cui manifesta aderenza alla realtà materiale regolata, ma rende difficilmente comprensibili i precetti normativi.

Inoltre nella creazione delle norme giuridiche intervengono altri fattori - tensioni e conflitti politici e l’esigenza di mediare fra posizioni contrapposte - che contribuiscono alla poca chiarezza. A ciò si aggiungono - nel contesto internazionale di cui i legislatori devono tenere conto - la difficoltà di traduzione o i significati non coincidenti dei termini e dei concetti chiave nelle diverse lingue dei paesi che devono recepire norme pensate e scritte altrove. Le norme giuridiche così elaborate sono di difficile interpretazione e di difficile applicazione. L’impatto delle tecnologie sul diritto è forte: costringe a rinnovarsi continuamente di fronte ai nuovi modi che l’uomo continuamente escogita per organizzare la sua presenza e la sua azione nel mondo (Roppo, 2019).

(...) La tecnologia informatica punta alla sostituzione di attività umane non solo in funzioni operative, ma anche in quelle di analisi e decisionali. L’eliminazione del fattore umano dal processo decisionale presenta aspetti positivi (elimina l’abuso) e negativi (elimina la discrezionalità). I sistemi dialogano fra loro (interoperabilità): in che misura possono essere loro affidati il controllo o l’applicazione della legge?

L’essere umano nell’applicazione della norma è dotato - oltre che di conoscenza tecnica - di razionalità, discrezionalità, buon senso, comprensione del contesto. Questi requisiti nei sistemi informatici devono essere progettati, se si vogliono affidare loro le decisioni, tenendo conto che ad essi manca la capacità di gestire l’imprevisto e affrontarlo con comprensione empatica. Ma non basta; ogni sistema informatico ha bisogno di essere istruito dall’uomo: se vi è un errore, si tratta frequentemente di errore umano nella fase di progettazione.

*Giovanni Maria Flick, che del volume ha curato, tra l’altro, l’introduzione e la conclusione, è presidente emerito della Corte costituzionale

**L’avvocato Caterina Flick è responsabile Ufficio affari giuridici e contratti dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID).