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di Chiara Saraceno

La Repubblica, 24 giugno 2022

Chi studia nel nostro paese è un cittadino italiano. La maggioranza degli elettori dei partiti attualmente al governo, salvo quelli della Lega, è favorevole all’introduzione dello ius scholae. Ma anche tra gli elettori della Lega i favorevoli sono poco meno della metà: il 48%.

Se l’eterogenea coalizione che oggi sostiene il governo decidesse di approvare finalmente una legge già troppo a lungo rimandata, quindi, troverebbe il favore dei propri elettori, sia pure con intensità diversa a seconda del partito. Lo ha capito bene Forza Italia, che ha cambiato da negativa a favorevole la propria posizione.

Viceversa, se decidessero ancora una volta di rimandare, ciascun partito deluderebbe una buona fetta del proprio elettorato. Solo tra gli elettori di Fratelli d’Italia c’è, per la grande maggioranza, coerenza con la posizione, fortemente negativa, del partito. Anche se non va sottovalutato quel 35% che invece sarebbe d’accordo a favorire l’acquisizione della cittadinanza ai bambini che hanno frequentato almeno cinque anni di scuola in Italia, anche se solo il 19% dichiara di non approvare la posizione del partito in argomento.

Il dato che esiste nella popolazione una maggioranza favorevole all’introduzione dello ius scholae segnala, ancora una volta, come la società civile sia spesso più aperta dei partiti su temi considerati così divisivi da essere rimandati all’infinito: che si tratti di unioni tra persone dello stesso sesso, di fine vita o, appunto, la possibilità che chi nasce o comunque cresce nel nostro paese, ne frequenta la scuola acquisendo l’Italiano come lingua di base, partecipa alle stesse attività dei nostri figli e nipoti, condividendone gusti e disgusti, non può essere lasciato in un limbo senza fine di non appartenenza. Perché anche per i nati in Italia la fatidica soglia dei 18 anni è una porta stretta, che può chiudersi quasi subito.

E comunque molto spesso, tra la domanda di cittadinanza e il suo accoglimento possono passare anni di attesa. Alla lunga, il marchio di “non appartenente”, mai abbastanza degno di essere accolto come cittadino, può diventare una forma di identità negativa, di rifiuto di una integrazione che lascia sempre sulla porta, quando non fuori. Il fenomeno delle “bande etniche” di ragazzi aggressivi e violenti è l’esito cumulato di marginalizzazione insieme sociale e civile.

Colto il dato positivo del favore maggioritario allo ius scholae, mi sembra che emergano dai dati due aspetti problematici.

Il primo è la scarsa conoscenza della situazione. La stragrande maggioranza non ha idea di quanti siano i minorenni coinvolti. Ciò significa che, nonostante si discuta da decenni del tema, manca una informazione adeguata (e forse anche la voglia di informarsi). È vero che non occorre sapere quanti sono per essere favorevoli o contrari, stante che si tratta di valutazioni insieme di principio, valoriali, e di convenienza in termini di coesione sociale e demografici. Tuttavia una conoscenza così scarsa del fenomeno non aiuta ad arrivare ad una opinione informata.

Il secondo aspetto che trovo problematico è che difficilmente lo ius scholae, in particolare la contrarietà ad esso, è una questione dirimente dal punto di vista delle scelte elettorali. Coloro che dichiarano che cambierebbero il proprio voto nel caso il proprio partito agisse sul tema in contrasto con la loro opinione sullo ius scholae sono una piccola minoranza. La questione quindi, non è considerata prioritaria. A maggior ragione, tuttavia, i partiti che sono a favore e che ora detengono la maggioranza in Parlamento hanno la responsabilità di portare la legge sullo ius scholae ad approvazione. Non solo è una questione di civiltà da troppo tempo rimandata, ma il loro elettorato è largamente favorevole. Non ci vuole neppure troppo coraggio.