di Massimiliano Nerozzi
Corriere di Torino, 24 novembre 2022
È il 23 giugno 2021 quando un detenuto del carcere di Ivrea si presenta “spontaneamente” al personale della polizia penitenziaria, accusando un altro rinchiuso: “Parlando con me - racconta - ha minacciato tre vostri colleghi e il magistrato di sorveglianza che si occupa del suo fascicolo”. Due giorni prima, in una relazione di servizio, un agente riferiva la stessa condotta, di minacce, appresa da “fonte confidenziale affidabile”.
E il settembre successivo, un altro agente comunica la notizia di reato alla Procura di Ivrea. Che, nel frattempo, aveva già avviato le indagini su quel che avveniva dentro al penitenziario. Morale, sostengono oggi gli investigatori, coordinati dal pubblico ministero Valentina Bossi, le accuse erano false: totalmente inventate. In sostanza - sempre secondo le indagini del nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria - tre agenti in servizio nel carcere avevano costretto l’uomo ad accusare l’altro detenuto: questo, “in cambio di agevolazioni interne all’istituto di pena, nonché del ripristino dei permessi premio”.
O almeno questa è la sceneggiatura criminale contestata dal pm nei decreti di perquisizione che hanno portato al blitz di martedì mattina, all’alba. Da qui, l’accusa di falso in atto pubblico e di calunnia, contestate rispettivamente in concorso a due e quattro agenti della penitenziaria. Di falso rispondono anche alcuni medici a suo tempo in servizio nello stesso carcere, per l’ipotesi di aver riportato il falso in alcuni referti e, cosa ancor più grave, di non aver mai denunciato alcunché, pur avendone l’obbligo. Nell’inchiesta sono indagate in tutto 45 persone, tra agenti, medici, educatori ed ex direttori.