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di Liborio La Mattina

giornalelavoce.it, 1 dicembre 2023

Tutto è cominciato con un laboratorio di lettura su “Fine pena ora”. “Della mia anima ne farò un’isola”. È il titolo di un progetto teatrale che nasce per caso, quasi d’incanto, da un laboratorio di lettura del libro Fine pena ora, di Elvio Fassone, edizione Sellerio. Il laboratorio, tenuto da Simonetta Valenti, con cadenza settimanale dallo scorso luglio, presso la sezione in cui sono detenuti i collaboratori di giustizia del carcere di Ivrea, che vivono in isolamento, si proponeva di avvicinarli alla lettura consapevole di un testo ed alla riflessione sui temi che via via emergevano. Un testo scelto anche per l’affinità della storia narrata con l’esperienza di chi vive in carcere. Ed è proprio da questa affinità che nasce l’idea di trasformare l’esperienza del laboratorio nella lettura scenica di alcuni capitoli del testo, integrandola con le riflessioni dei detenuti, in veste di attori/autori.

“Un libro molto bello, ma anche molto particolare se lo pensi letto da loro - commenta Valenti - molti sono ergastolani ma soprattutto mafiosi, legati a problemi di mafia… Il libro è, infatti, la storia narrata in prima persona da Fassone, il magistrato che nell’85 presiede in Corte d’Assise d’appello a Torino un maxi processo contro la mafia catanese. Il processo dura quasi due anni. Seguono una raffica di ergastoli. Tra i condannati anche Salvatore, un giovane ragazzo. Capita che per una serie di coincidenze si parlano. Il ragazzo è molto arrogante e un po’ smargiasso. Ad un certo punto gli dice “Presidente ma lei ce lo ha un figlio? Sì ne ho tre di figli? Perché? E perché io le dico questo: se suo figlio fosse nato dove sono nato io, probabilmente sarebbe in quella gabbia e io sarei un valido avvocato…”.

Questa frase sconvolge profondamente il giudice che in un impeto di istinto, il giorno dopo la sentenza in cui condanna all’ergastolo il ragazzo, gli spedisce un libro, chiedendosi se mai nella sua vita ne avessi letto uno. E gli spedisce niente meno che Siddharta di Herman Hesse. Al fondo del libro c’è una frase: “Nessuno è mai interamente santo o interamente peccatore…”.

Non è pentimento per la condanna inflitta, né solidarietà, ma un gesto di umanità per non abbandonare un uomo che dovrà passare in carcere il resto della sua vita. La legge è stata applicata, ma questo non impedisce al giudice di interrogarsi sul senso della pena. E non astrattamente, ma nel colloquio continuo con un condannato. Da qui nasce una corrispondenza che durerà 26 anni. Ventisei anni trascorsi da Salvatore tra la voglia di emanciparsi attraverso lo studio, i corsi, il lavoro in carcere e momenti di sconforto, soprattutto quando le nuove norme rendono il carcere durissimo con il regime del 41 bis.

La corrispondenza continua, con cadenza regolare - caro presidente, caro Salvatore. Il giudice nel frattempo è stato eletto al CSM, è diventato senatore, è andato in pensione, ma non ha mai cessato di interrogarsi sul problema del carcere e della pena. Anche Salvatore è diventato un’altra persona, da una casa circondariale all’altra lo sconforto si fa disperazione fino a un tentativo di suicidio. Nemmeno tra due amanti, ammetterà l’autore, è pensabile uno scambio di lettere così lungo. “Quando siamo arrivati più o meno a metà di questo libro che ha coinvolto molti ragazzi e abbiamo anche visto il film I Cento Passi su Peppino Impastato - continua Valenti - il gruppo ha espresso il desiderio di fare qualcosa e allora stante anche le loro potenzialità abbiamo scelto di lavorare ad lettura scenica di alcuni dei capitoli a cui poi ho aggiunto una sceneggiatura”.

E non era ancora finita qui. Valenti ha infatti proposto loro di scrivere e raccontare un pezzo della propria vita. “Non avevo grandi aspettative - ci spiega - Stiamo parlando di vite molto complicate e di tematiche pesanti complesse e dolorose. E invece?”. Lo hanno fatto tutti. Al termine di ogni scena, un racconto in più… davanti al leggio sfondando la quarta parete.

Un lavoro pazzesco di coraggio e di generosità. In collaborazione con la Casa Circondariale di Ivrea, l’Associazione Assistenti Volontari Penitenziari “Tino Beiletti” e i detenuti della Casa Circondariale di Ivrea, lo spettacolo “Della mia anima ne farò un’isola” a cura della compagnia “Liberi” di recitare, regia di Simonetta Valenti e musiche a cura di Nicola Giglio, andrà in scena sabato 2 dicembre alle 10 presso la sala Polivalente della Casa Circondariale. Alla “Prima” di giovedì 30 novembre in tanti si sono commossi.