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di Andrea Bucci e Lodovico Poletto

La Stampa, 24 febbraio 2023

La procura di Torino ha chiuso le indagini su 28 persone. I detenuti: “Qui gli agenti non hanno pietà di nessuno”. Sette anni fa. Un sabato: è il 7 novembre. Al carcere di Ivrea un detenuto di origini nord africane viene picchiato con calci e pugni da un gruppo di agenti. Lì accanto c’è il medico di turno alla casa circondariale. Guarda, e non muove un dito. Tranquillo sorseggia un caffè, appena spillato dal distributore automatico.

Ecco, quel medico adesso è inserito nell’elenco dei 28 indagati per violenze - protratte negli anni - all’interno di questo carcere più volte finito al centro di inchieste della magistratura. Quella che lo vede nei guai racconta la storia di sette pestaggi che la Procura Generale di Torino ha raggruppato in un unico fascicolo, prendendo sul serio le denunce di Antigone - associazione che si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale - e dell’allora Garante comunale dei detenuti. Ora l’inchiesta è finita. Il medico rischia la radiazione: non ha mai segnalato nulla a nessuno.

Per la prima volta, con questo atto di chiusura indagini, vengono presi in considerazione episodi che non erano mai stati approfonditi. Quello in cui appare il dottore è il più vecchio di tutti. Ma nell’elenco ce ne sono altri. Inquietanti e violenti. E che confermano le voci che giungevano allora da dentro le celle: “Qui gli agenti non hanno pietà per nessuno”.

È il 26 di ottobre del 2016. Un altro detenuto viene pestato con il manganello, con calci, pugni e schiaffi. Lo menano gli agenti che lo stanno scortando in infermeria. Finita la vista l’uomo viene riaccompagnato in cella. È nudo. Resterà così tutta la notte. E il giorno dopo, come se non bastasse, finisce in cella di rigore.

Risultano almeno altri cinque racconti di questo tipo. E una montagna di relazioni di servizio che gli agenti di custodia firmavano di volta in volta e inviano ai vertici della polizia penitenziaria. Ecco come motivarono le ferite sull’uomo lasciato nudo: il detenuto “scivolava accidentalmente, sbattendo la testa sul pavimento della sezione, reso scivoloso dall’uso dell’idrante per spegnere il focolare che avevano appiccato in precedenza”. Basta cambiare i nomi dei reclusi e quelli degli agenti, ed ecco altre relazioni fotocopia. Stesso giorno, il 26 ottobre del 2016, c’è un altro recluso pestato mentre lo scortano verso la sala d’attesa dell’infermeria. Vien spogliato, ancora picchiato, e lasciato svestito tutta la notte.

Sulla relazione di servizio sette uomini in divisa scrivono questa stessa frase: “Mentre si trovava nella sala di attesa iniziava a sbatter la testa violentemente contro il vetro della stessa e pronunciava testuali parole: ora mi faccio male così dico che siete stati voi a picchiarmi così vi rovino, pezzi di merda”. Per altro recluso, con una brutta lesione allo zigomo e al labbro superiore, e portato al pronto soccorso per accertamenti, due agenti scrivono: “dava ripetutamente testate ad uno spigolo del pilastro”.

Negli atti di oggi, però, non si fa cenno alla cella chiamata “l’acquario”, un cubo di cemento, dalle pareti lisce, senza arredi e senza servizi igienici, dove altri detenuti sarebbero stati picchiati. Compare in altre indagini, molte delle quali finite in nulla. E se i protagonisti di queste storie, i detenuti, sono sempre diversi, quelli che picchiano compaiono talvolta anche in altre storie: due di loro, per dire, sono nell’elenco degli agenti sospesi in seguito ad una indagine aperta da poco dalla procura di Ivrea. In questa storia, però, c’è ancora un ultimo aspetto.

Parte delle violenze raccontate nelle carte dalla Procura generale potrebbero restare senza colpevole. Alcuni reati, infatti, sono troppo vecchi e in aria di archiviazione. Nel corso degli anni, infatti, almeno due indagini aperte a Ivrea sono finite in nulla. Quando la Procura generale di Torino ha preso in mano i fascicoli, i tempi per un’indagine approfondita erano strettissimi. Come finirà? Impossibile dirlo. L’unica cosa certa è che a processo andranno i sette agenti, oggi accusati di tortura.