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di Alberto Laggia


Famiglia Cristiana, 2 aprile 2020

 

Mentre tutta l'Italia è agli arresti domiciliari, Dio parlerà il Venerdì Santo attraverso la voce di chi agli arresti c'è davvero: i carcerati e tutti coloro che vivono e lavorano dentro gli istituti di pena. Non è forse un segno potente questo, da cogliere, per pregare e riflettere? Per cavarne dal male un bene più grande?".

Non crede certo al caso don Marco Pozza, teologo e cappellano della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova, che così spiega la grande novità della Via Crucis che papa Francesco si appresta a celebrare la notte del Venerdì Santo, annunciata il io febbraio scorso con una lettera inviata dallo stesso Pontefice al direttore de Il Mattino di Padova: la Via Crucis, quella tradizionalmente ambientata dentro il Colosseo, sarà condotta da 14 meditazioni preparate dalla parrocchia che ruota attorno all'istituto di Padova.

"Tutta la parrocchia, nessuno escluso: vittime, detenuti, familiari, volontari, educatori, magistrati e agenti di Polizia penitenziaria, fino agli innocenti condannati ingiustamente", precisa don Pozza, che assieme a Tatiana Mario, volontaria al Due Palazzi e giornalista, ha raccolto e scritto le meditazioni. "Sarà una Via Crucis "carcerata" in tutti i sensi", spiega il prete padovano, "primo perché realizzata con l'aiuto del mondo del carcere; secondo perché non sarà più all'aperto ma "reclusa" in un luogo angusto in Vaticano, a causa delle misure anti-epidemia".

L'annuncio di Francesco cadeva in giorni difficili, drammatici per il mondo carcerario italiano, sconvolto da rivolte, violenze e morti, dopo lo stop imposto ai colloqui con i familiari dei detenuti per fronteggiare l'emergenza coronavirus. Anche la tempistica, per don Pozza, non è stata casuale: "Papa Francesco ha voluto rendere pubblica la notizia proprio in quei giorni tribolati per dare un segnale di distensione, quasi inserendosi, a suo modo, nella difficile trattativa in corso. È come se avesse detto: la fatica e disperazione di voi carcerati e di voi operatori nei penitenziari è anche la mia.

Vi apro le porte di casa, proviamo a parlarne perché mi state a cuore". È come se, dentro il travaglio di quel momento, il carcere e Padova stessa fossero stati accarezzati da papa Francesco. "È così. E simbolicamente questa carezza è stata data anche a tutto il grande mondo del volontariato che quest'anno si incontra proprio a Padova, eletta Capitale europea 2020 del volontariato", dice don Marco.

Il sacerdote spiega poi come è nata questa idea singolare, ancora una volta, e spiazzante di papa Francesco: "Approfittando del bel rapporto di amicizia che intercorre tra me e il Papa, gli avevo girato, come faccio spesso, il testo di un giovane carcerato. Lo ha apprezzato a tal punto da propormi lui stesso di aiutarlo a scrivere la Via Crucis di quest'anno. In quell'istante è come se avessi sentito intorno a me il sorriso di tutto il mondo carcerario. L'ho solo aiutato a realizzare il progetto, individuando le 14 storie più significative insieme a Tatiana, con la quale ci siamo divisi le stazioni.

Abbiamo consegnato i testi dei Vangeli della Passione a ciascuna delle persone che hanno accettato di raccontarsi alla luce della Parola, quindi le abbiamo raccolte sotto forma di intervista". E ancora una volta il Pontefice ha dato, come la definisce don Marco, l'ennesima lezione di vita, "apponendovi in modo molto discreto, quasi in punta di piedi, soltanto pochissime correzioni, sostituendo in matita qualche sinonimo. Anche in questo mi è sembrato eccezionale. Ho visto veramente all'opera la Parola usata da Pietro".

Non è certo la prima volta che papa Bergoglio si piega sull'umanità sofferente delle carceri. Iniziò, all'esordio del suo pontificato, con la lavanda dei piedi nel carcere di Casal del Marmo. "Quel giorno - dice don Pozza - si è celebrato il fidanzamento tra Francesco e il carcere. Il matrimonio sarebbe avvenuto all'apertura del Giubileo della misericordia, quando trasformò la porta delle celle in Porta santa.

E poi aggiungerei quella indimenticabile telefonata ricevuta domenica 6 novembre 2016, alla fine del Giubileo delle persone carcerate, in cui venivamo invitati a incontrarlo". Questa sua particolare predilezione deriva certo da una frequentazione pluridecennale con il mondo delle carceri, fin dai tempi in cui era sacerdote in Argentina.

"Ma dietro sta anche la convinzione che il centro lo capisci meglio se lo guardi dalla periferia. E cosa è una prigione se non uno dei posti più marginali della Terra, dove si danno appuntamento tutte le periferie di questa società? E, per dialogare con questo mondo, ha scelto un prete di galera come me".