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di Gian Guido Vecchi

Corriere della Sera, 17 giugno 2022

Il Papa e il cardinale Zuppi hanno esortato, dopo la fase dell’emergenza, a garantire aiuti nel lungo periodo. Il direttore nazionale Marco Pagniello: “Si continui a sostenere anche i bisognosi di Africa e Medio Oriente”.

La sorte delle donne afghane, i naufraghi inghiottiti dal Mediterraneo. La pietà, l’orrore, e poi l’abitudine, magari l’oblio. Ricordate l’Ucraina? Il cardinale Matteo Zuppi, appena nominato da Francesco presidente della Cei, ha ricordato “l’accoglienza che tantissime comunità hanno compiuto” dopo l’invasione russa e parlato della “grande sfida della durata”. Si tratta di proseguire anche quando il coinvolgimento emotivo dei primi tempi sfuma nella società, come è già successo: “Abbiamo passato settimane a parlare della tragedia dell’Afghanistan, e ora rischiamo che quella sofferenza non ci colpisca più, come la tragedia dei dispersi nel Mediterraneo”. Papa Francesco, del resto, ne ha parlato fin dall’inizio, all’Angelus del 20 marzo: “Non stanchiamoci di accogliere con generosità, come si sta facendo: non solo ora, nell’emergenza, ma anche nelle settimane e nei mesi che verranno. Perché voi sapete che nel primo momento tutti ce la mettiamo tutta per accogliere, ma poi l’abitudine ci raffredda un po’ il cuore e ci dimentichiamo”.

Tutto questo, la Caritas lo sa bene. “Sì, questo è un pericolo, come ci mostra la storia di tante cosiddette “emergenze”. Nel frattempo, per dire, gli sbarchi dal Sud del mondo non si sono fermati”, considera don Marco Pagniello, direttore della Caritas italiana. Così, dallo scoppio della guerra in Ucraina, ci si è organizzati per tempo. “Come Caritas Italiana, finora abbiamo raccolto più di dieci milioni di euro attraverso le parrocchie e le diocesi, il finanziamento della Cei, le donazioni e le raccolte fondi attraverso i media. Di questi, oltre quattro milioni hanno sostenuto gli aiuti mandati in Ucraina e il resto serve e servirà anche all’accoglienza di chi è arrivato in Italia. Abbiamo detto subito che oltre al cuore bisognava usare la testa: l’emergenza sarà lunga e complessa da affrontare, si tratta di pensare alla sua sostenibilità nel tempo”. In questo periodo, don Marco ha compiuto due viaggi. “La prima volta, poco dopo l’invasione russa, siamo andati in Polonia, Romania e Moldavia per capire come sostenere il lavoro delle Caritas locali che da subito hanno accolto i rifugiati ed evitare sovrapposizioni. Un’esperienza difficile. Tutt’intorno, sguardi di persone strappate dalla loro vita, gettate in situazioni inimmaginabili fino a poche ore prima. La seconda è stata a Leopoli, il punto di smistamento degli aiuti che arrivano attraverso la Polonia. Siamo andati a sostenere le due Caritas locali, la Caritas Spes della Chiesa cattolica latina e la Caritas Ucraina dei greco-cattolici”.

Più di 80 tonnellate - Finora la Caritas italiana ha inviato in Ucraina 84 tonnellate di cibo e beni di prima necessità, pasta, riso, legumi, cereali, biscotti, omogeneizzati e latte in polvere per i bambini, carne e pesce in scatola, olio, zucchero, e ancora disinfettanti, coperte, biancheria e materassi. Attraverso la rete delle Caritas diocesane, in Italia sono state accolte 10.500 persone, tra le quali 4.800 minori, in 148 diocesi. Il progetto “Apri agli ucraini”, sul modello di quello già sperimentato per altre emergenze, si ispira ai quattro verbi che Papa Francesco ama ripetere in tema di migranti: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Questo riguarda solo, si fa per dire, la rete italiana Caritas. Perché, impossibili da calcolare, ci sarebbero da aggiungere tutti gli innumerevoli “aiuti in cibo, vestiti denaro, volontariato e accoglienza che sono arrivati e arrivano dalle singole diocesi, dalle varie parrocchie e comunità di fedeli”.

I numeri - Del resto, la situazione in Ucraina è spaventosa. Le Nazioni Unite stimano 15,7 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Le vittime civili sono almeno quattromila e continuano ad aumentare come i feriti. Si calcolano 6 milioni di rifugiati oltre confine e 7,7 milioni di sfollati interni. Già un mese dopo l’invasione, l’Unicef registrava 1,8 milioni di bambini rifugiati all’estero e 2,2 milioni sfollati altrove nel Paese, più della metà della popolazione infantile ucraina. Tutta la rete Caritas europea si è messa in moto, a cominciare dai Paesi confinanti e soprattutto dalla Polonia, che da sola ha accolto finora 3 milioni e 358mila rifugiati. Grazie al sostegno ricevuto, le due Caritas ucraine sono riuscite a aiutare direttamente un milione e duecentomila persone sfollate, almeno 900 accoglienze al giorno, 41mila bambini assistiti, pasti caldi, vestiti e scarpe per 965mila persone, acqua e servizi igienico-sanitari per 276mila, farmaci e kit di prima assistenza per 62mila, e 3.372 tonnellate di beni di prima necessità trasportati fino ai centri di soccorso. Ci sarà ancora da lavorare, molto.

“Basti pensare solo ai bambini accolti nelle scuole. Per questo parliamo di un intervento straordinario che deve diventare ordinario e passa attraverso l’inclusione sociale e culturale, per chi sceglierà di fermarsi nel nostro territorio”, spiega ancora don Marco. “La situazione è in evoluzione continua. In Ucraina la gente, se possibile, voleva restare nel suo Paese. Ora il flusso di arrivi si è ridotto, registriamo delle ripartenze. Ma anche ucraini accolti al Sud che nel frattempo si spostano nel Nord Italia perché là ci sono parenti e amici, comunità più numerose. Intanto le diocesi del Mezzogiorno continuano a sostenere i profughi che arrivano da Africa e Medio Oriente. Fenomeni diversi, che vanno capiti e accompagnati nella loro diversità. Ci tengo a dirlo: è essenziale far sì che non ci siano profughi di serie A e di serie B. Per noi, come Chiesa, è importante l’accoglienza di tutti”.