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di Elena Tebano

Corriere della Sera, 1 settembre 2023

La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha stabilito che l’Italia non può rifiutarsi di riconoscere e registrare all’anagrafe i bambini nati con maternità surrogata all’estero, figli di cittadini italiani. L’Italia non può rifiutarsi di riconoscere e registrare all’anagrafe i bambini nati con la maternità surrogata all’estero figli di cittadini italiani. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (Cedu) pronunciandosi sul caso di una bimba veneta nata nel 2019 in Ucraina, dove la surrogazione di maternità è legale, da un uomo italiano (che è anche il padre biologico della bambina) e dalla moglie, anche lei italiana.

L’anagrafe di Vicenza, a cui si era rivolta la famiglia, si era rifiutata di riconoscere il rapporto di filiazione stabilito dall’atto di nascita ucraino tra la bambina “C”, nata all’estero a seguito di maternità surrogata (gpa), il suo padre biologico e la sua madre intenzionale. E quindi non aveva trascritto l’atto di nascita della piccola, che così era rimasta senza documenti e senza cittadinanza, in un limbo legale, visto che non aveva potuto acquisire la cittadinanza italiana ma non aveva neppure quella ucraina, perché per l’Ucraina la bambina è semplicemente la figlia dei due italiani.

La bambina è stata concepita con l’ovulo una donatrice anonima e il seme del padre italiano, l’embrione è stato poi impiantato nell’utero di una donna ucraina, la madre surrogata, che ha portato avanti la gravidanza. La bambina è nata nell’estate del 2019 e a Kiev è stata registrata con un atto di nascita in cui il padre biologico e la madre intenzionale italiani risultano come i suoi genitori a tutti gli effetti, secondo quanto previsto dalla legge ucraina che consente la maternità surrogata.

A settembre i genitori hanno chiesto all’ufficiale di stato civile di Vicenza di trascrivere l’atto di nascita ucraino della bambina nei registri dello stato civile. L’ufficio di stato civile però si è rifiutato, sostenendo che la trascrizione fosse “contraria all’ordine pubblico”. I genitori allora a gennaio 2020 hanno fatto ricorso in tribunale, chiedendo la trascrizione integrale del certificato (cioè il riconoscimento sia del padre che della madre) e, se questo non fosse stato possibile, la trascrizione del solo nome del padre biologico. Il pubblico ministero ha chiesto al tribunale di trascrivere solo il padre. Nel marzo del 2020, il tribunale, nonostante il parere favorevole della procura alla trascrizione parziale, ha respinto interamente il ricorso. Lo stesso ha fatto la Corte di appello e a quel punto i genitori si sono rivolti alla Corte europea dei diritti umani.

Intanto la bimba, che ora ha 4 anni, rimaneva un fantasma per la legge italiana: senza documenti né cittadinanza, con tutte le difficoltà che ne conseguono per l’assistenza sanitaria, l’iscrizione a scuola e l’accesso a tutti gli altri diritti di base. Mentre il procedimento di fronte alla Cedu faceva il suo corso, nel dicembre del 2022, la Corte di cassazione italiana ha stabilito indipendentemente che i bambini figli di italiani nati all’estero con maternità surrogata andassero sempre riconosciuti in Italia, ma con un procedimento in due tempi: dapprima con la trascrizione come figli del solo padre biologico, poi l’adozione in casi particolari (chiamata impropriamente anche stepchild adoption) che richiede un procedimento del tribunale dei minori, per riconoscere anche il secondo genitore (quello non biologico), in questo caso la madre intenzionale.

Nella sentenza sulla bambina di Vicenza, la Cedu ribadisce ora che: “Un bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame creato in virtù della relazione affettiva stabilita e vissuta con la persona che ha condiviso il progetto genitoriale” e che c’è un “obbligo fondamentale di garantire al bambino nato da madre surrogata gli stessi diritti dei bambini nati in condizioni diverse” ma che questo può essere “ soddisfatto” anche con l’adozione in casi particolari.

La Corte di Strasburgo ha dunque stabilito che il rifiuto di riconoscere in toto in Italia la bambina nata in Ucraina con maternità surrogata è “un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata” che viola l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”) e che “i tribunali nazionali hanno respinto le domande in questione senza ponderare i vari interessi in gioco e, soprattutto, senza considerare le esigenze di rapidità ed efficienza richieste in procedimenti come quello in oggetto”. Secondo i giudici di Strasburgo, cioè, il Tribunale e la Corte di appello di Vicenza hanno sbagliato a non permettere subito almeno la trascrizione del solo padre e a non dare un’alternativa ad essa.

Per quanto riguarda il riconoscimento della madre, poi, i giudici hanno ribadito che “il diritto al rispetto della vita privata del bambino, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, richiede che il diritto interno preveda la possibilità di riconoscere un rapporto di filiazione tra il bambino e la madre intenzionale, designata nel certificato di nascita legalmente stabilito all’estero come “madre legale”“ ma che non è necessario farlo sotto forma di trascrizione immediata dell’atto di nascita, perché “esso può avvenire in altra forma, come l’adozione del minore da parte della madre intenzionale, a condizione che le procedure previste dal diritto interno garantiscano l’efficacia e la rapidità della sua attuazione, nel rispetto dell’interesse superiore del minore”.

Alla bimba dunque è stato riconosciuto il padre solo dopo 4 anni. Ora dovrà fare un nuovo procedimento di fronte al Tribunale dei minori per vedere riconosciuto anche il rapporto con la madre, a cui ha - confermano i giudici della Cedu - pieno diritto. Giorgio Muccio, l’avvocato che ha assistito la coppia a Strasburgo, si è detto “soddisfatto di aver finalmente sbloccato la situazione in cui la bambina si è trovata” e “fiducioso che il Tribunale dei Minori di Venezia disporrà l’adozione della madre (indicata come tale nell’atto di nascita ucraino) in tempi brevi”, ma ha aggiunto che di fronte ai “ritardi con cui svariati Tribunali dei Minori italiani provvedono a disporre l’adozione “del figlio del coniuge” (con attese anche oltre i 3 anni)” è pronto a fare di nuovo causa all’Italia se l’adozione in casi particolari non avverrà nei tempi celeri chiesti dai giudici di Strasburgo nell’interesse della bambina. Il parlamento italiano sta per approvare una legge che vuole rendere il ricorso alla maternità surrogata un reato universale. Ma anche se lo facesse questo non avrebbe conseguenze sui principi stabiliti dalla sentenza della Cedu.