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di Antonio Averaimo

Avvenire, 16 marzo 2024

Oggi sit-in davanti al carcere di Poggioreale promosso dall’arcidiocesi partenopea e dalle associazioni. L’arcivescovo Battaglia: la pena abbia finalità educative. “I suicidi dei detenuti a cui stiamo assistendo in questi giorni sono il frutto di un albero cattivo, ovvero il carcere così com’è inteso in Italia. E da un albero cattivo non possono nascere frutti buoni”. La pensa così don Franco Esposito, direttore del Centro per la pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli, che stamattina darà vita a una manifestazione davanti all’ingresso del carcere di Poggioreale, di cui il sacerdote è cappellano. Il presidio è stato organizzato in collaborazione con le associazioni “Liberi di Volare” e “Sbarre di Zucchero”.

Ieri è arrivato anche il messaggio dell’arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia. “La situazione di tanti, troppi detenuti della nostra città e del nostro Paese non è degna della nostra Costituzione repubblicana, la quale considera prioritaria non solo la tutela di tutti gli esseri umani ma anche la finalità educativa della pena” ha sottolineato Battaglia.

Mentre le notizie di suicidi nelle carceri italiane si susseguono con sempre maggiore frequenza, con la manifestazione di oggi il cappellano di Poggioreale vuole lanciare un messaggio chiaro alla politica e all’opinione pubblica: “I suicidi nelle carceri italiane - dice don Esposito - non riguardano solo i detenuti, ma anche gli agenti della polizia penitenziaria. Il primo funerale che ho celebrato, dopo essere diventato cappellano, è stato proprio quello di un agente. Abbiamo deciso di dare vita a questa manifestazione perché la politica è troppo sorda rispetto alla necessità di riformare il carcere e perché l’opinione pubblica deve prendere coscienza di un problema che non può essere affrontato solo quando c’è un fatto di cronaca eclatante, come l’ennesimo suicidio di un detenuto. Si cercano le motivazioni di questi gesti nei problemi psichici. In realtà, l’unico responsabile di queste tragedie è proprio il carcere così com’è, che troppo spesso, concentrandosi sulla pena da far espiare, dimentica l’umano da salvare”.

Una riforma dell’ordinamento penitenziario, con un accesso maggiore alle misure alternative al carcere: questa è la richiesta che porteranno davanti alle mura del carcere di Poggioreale gli organizzatori della manifestazione. “Negli ultimi anni - racconta il cappellano −, la Chiesa di Napoli ha dato vita a un centro per la pastorale carceraria che accoglie 50 persone cui sono concesse misure alternative al carcere e a un centro di accoglienza che ne ospita altre dieci. E anche le parrocchie fanno la loro parte. Il nostro vuole essere un segno, un modo di dire che si può fare diversamente giustizia. Certo, il carcere deve esserci. Ma è chiaro che debba esserci anche altro. La recidiva è altissima per chi sconta la pena nei penitenziari, mentre scende vertiginosamente quando si beneficia di misure alternative, fino a diventare quasi irrisoria. Un carcere così inteso non riesce nemmeno a fare da deterrente”.

Davanti all’ingresso del carcere di Poggioreale, stamattina ci sarà anche il Garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello. Martedì scorso, dopo il suicidio di un detenuto 33enne nel carcere di Secondigliano, Ciambriello aveva lanciato l’allarme sull’emergenza suicidi nei penitenziari della Campania, dove dall’inizio dell’anno si sono tolte la vita cinque persone. “Il tasso di suicidi in carcere - aveva ricordato il Garante dei detenuti della Campania − è 20 volte superiore ai suicidi delle persone libere. Occorrono risposte concrete qui e ora, prima che ci si trovi di fronte all’irreparabile”. Secondo Ciambriello, “c’è troppo silenzio politico e mediatico di fronte alla fotografia impietosa che ci offrono le nostre carceri, nelle quali ci sono migliaia di persone con problemi di tossicodipendenza e con disagi psichici, molte delle quali denunciati dagli stessi familiari. Per non parlare delle migliaia di detenuti che scontano pene inferiori ai tre anni. Bisogna immediatamente pensare a delle soluzioni: più misure alternative al carcere e più lavori di pubblica utilità, per esempio. E forse è giunto il momento anche di pensare a un indulto: l’ultimo c’è stato nel 2006, quasi vent’anni fa”. Per il Garante dei detenuti della Campania, “il carcere viene troppo spesso inteso come una risposta semplice a problemi molto più complessi. La risposta dello Stato, invece, deve essere basata sulla Costituzione, che prevede una pena per chi delinque, ma mai la perdita della dignità”.