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di Matteo Lepore*

La Repubblica, 6 settembre 2022

Seguo con estrema attenzione le criticità e il profondo stato di disagio sollevato dalle e dai detenuti della Casa Circondariale di Bologna Giuseppe Dozza, per la carenza di personale medico all’interno della struttura.

In occasione della mia ultima visita alla Dozza, ho avuto modo di conoscere la professionalità di quanti quotidianamente operano all’interno del carcere, dalla direttrice, agli agenti della polizia penitenziaria e a tutto il personale e ai volontari. A loro va innanzitutto un ringraziamento per l’impegno con il quale stanno affrontando questa fase.

Una situazione che sconta, da un lato, l’emergenza pandemica che ha comportato un enorme stress per tutto il sistema sanitario, sottraendo personale medico alle attività ordinarie. Dall’altro, la carenza di risorse da destinare alla Sanità dovuta ai mancati trasferimenti da parte dello Stato centrale, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno, e che espongono anche sistemi sanitari solidi come quello della nostra regione a pericolose criticità di bilancio. Per chi è in stato di detenzione tutto questo rappresenta una emergenza nell’emergenza.

La privazione della libertà non può e non deve comportare la privazione di altri diritti fondamentali come quello alla salute o a condizioni di vita dignitose, perché questo porterebbe ad amplificare condizioni di disagio fisico e psichico. Se è vero che la civiltà di una Paese si misura anche dalle condizioni delle sue carceri, non possiamo restare silenti di fronte a questa situazione; tanto più in una città come Bologna. Dobbiamo attivarci, non solo comunità e attraverso le realtà del terzo settore, che per costituzione sono dove sono le fragilità. Ma anche e soprattutto nei confronti dello Stato, che sino ad oggi ha mostrato una scarsa attenzione alla riforma della giustizia e alla riorganizzazione del sistema penitenziario.

La popolazione carceraria vive molte fragilità, per la condizione intrinseca della detenzione, ma anche per problemi in questi anni diventati cronici ed in alcuni casi strutturali. A partire dal sovraffollamento e dalle difficoltà di poter svolgere attività lavorative in carcere, che rappresenterebbe uno strumento di rieducazione ed inclusione eccezionale, come ho avuto modo di constatare nella mia ultima visita alla Dozza. Queste carenze attentano in modo preoccupante alla natura rieducativa della pena che è fondamento di civiltà giuridica e di convivenza sociale, perché tesa a recuperare chi ha commesso un reato, a consentirgli di riscattarsi e adoperarsi per una nuova possibilità di vita.

Per questo, come sindaco di Bologna ribadisco l’attenzione su queste difficoltà e, nell’ambito delle mie competenze, sarò parte attiva con Ausl, la Regione Emilia-Romagna e l’amministrazione penitenziaria affinché si possano al più presto individuare soluzioni alla carenza di personale medico.

Figure che in un contesto come questo non garantiscono soltanto le ordinarie prestazioni sanitarie, ma rappresentano un più ampio presidio di cura, capace di riconoscere ed individuare situazioni di disagio. Vorrei, infine, rivolgere un pensiero di cordoglio e vicinanza ai familiari di chi ha perso la vita nella Casa circondariale pochi giorni fa e quanti prima di lui hanno purtroppo affrontato la stessa sorte.

*Sindaco di Bologna