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di Iuri Maria Prado

Il Riformista, 5 gennaio 2023

La Mani Pulite europea è diventata un grande ordalia per fare a pezzi la cooperazione internazionale e semplificare ciò che non è affatto semplice. Nessuno dice che in nome del fin di bene si debbano tollerare o mandare assolti i casi di corruzione e illecito arricchimento personale di cui i recenti scandali europei avrebbero reso evidenza.

Ma tutti dovrebbero capire che quando alcuni casi di probabile malversazione diventano - ed è ciò che sta succedendo - l’espediente per destituire di legittimità interi settori e diffuse comunità della cooperazione internazionale, allora e ancora una volta non ci si rivolge all’accertamento della verità e alla sanzione dei possibili illeciti, ma all’ennesima opera di moralizzazione per via giudiziaria che non risana nessun diritto e ne sacrifica molti, non ripristina nessun ordine e li disarticola tutti, non chiarisce nulla e intorbida tutto in un mare di chiacchiere onestamente demagogiche.

Ma, accanto a queste considerazioni per così dire generali, un’altra e specifica mi pare urgente e del tutto trascurata in un dibattito che più provinciale non si può: e cioè che il lavorìo diplomatico e politico nei rapporti con ordinamenti autoritari, dittatoriali e di sistematica violazione dei diritti umani è molto diverso rispetto a quello che corre quando si ha a che fare con il governo di un Paese cosiddetto civile e democratico.

In quell’ambito, l’operatore agisce sempre e per definizione in zona grigia, sul crinale di una legalità approssimativa e nel pericolo inevitabile di essere lambito da faccende apparentemente poco raccomandabili. Per capirsi: se non devo discutere di tutela dei cetacei con un plenipotenziario scandinavo, ma di lapidazioni e mani mozzate con un autocrate africano, ben può darsi che per ottenere qualche limitazione di quello scempio io debba chiudere un occhio su qualcos’altro, ben può darsi che io decida di concedere qualcosa che in un salotto europeo farebbe alzare il sopracciglio dell’osservatore civile, figurarsi quello del moralista togato.

È questa una realtà che ormai decenni di storia della cooperazione internazionale e umanitaria dovrebbero aver insegnato, e se è vero che negli interstizi ambigui di quel mondo, di quella complessa e multiforme realtà, si coltivano anche interessi illeciti, è vero altrettanto che proprio in quelle aree d’ombra si esercitano attività - di allocazione di risorse, di scambio di informazioni, di intelligence - senza le quali non si sarebbero raggiunti risultati importantissimi nella tutela della vita e dei diritti di moltissimi: altrimenti assistiti, si fa per dire, dalle perfezioni di una legalità completamente inerte.

Guardare la questione da questo punto di vista significa mandare dove merita l’obiezione facile secondo cui i borsoni pieni di soldi non servivano in questo caso a fermare lo scudiscio sulla schiena delle adultere, ma a prenotare il resort da novemila euro a notte.

Obiezione che avrebbe un senso, appunto, se qui si trattasse di sanzionare specifici casi di comportamenti illeciti e non, piuttosto, della generalizzata e generalizzante criminalizzazione di un ambito delicatissimo che riguarda i rapporti tra gli Stati, il posizionamento delle organizzazioni non governative, l’immensa rete di relazioni e investimenti rivolti faticosamente a insinuare diritti e miglioramenti di vita dove questa e quelli non valgono nulla. Il tutto, sulla base del supponente approccio da Mani Pulite poliglotta che smonta l’Europa come un giocattolo e la rimette nel canale dell’onestà.