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di Massimo Nesticò

ansa.it, 29 giugno 2024

Il sovraffollamento e la “cesura dei legami affettivi” in carcere, con norme troppo restrittive, rischiano di rendere la detenzione una “vendetta di Stato”. L’allarme - in piena emergenza suicidi, ieri a Frosinone il 47/o caso dell’anno - arriva dalla Corte dei conti, con il Procuratore generale, Pio Silvestri, che nell’ambito del Giudizio sul rendiconto generale dello Stato 2023, ammonisce: “le risorse pubbliche costruttivamente utilizzate per creare condizioni di vita più umane nelle carceri, nella prospettiva di un reale reinserimento, non sono sprecate, ma ben impiegate per garantire la sicurezza di tutti”.

Se è vero che i detenuti sono inevitabilmente privati di una parte della libertà, rileva la memoria, “è vero anche che devono esser loro garantiti i diritti all’integrità fisica, alla salute, ai rapporti familiari e all’affettività, al lavoro, all’istruzione, all’informazione, alla libertà di pensiero, alla professione della propria religione”. Il documento passa quindi in rassegna le varie criticità delle carceri, come la scopertura dell’organico della polizia penitenziaria, in aumento per effetto del turnover. Un dato, si legge, che “merita attenzione in quanto non può prescindersi dall’effettiva presenza di operatori adeguatamente formati ed in numero proporzionato rispetto agli ospiti degli istituti per dare concreta ed effettiva attuazione al finalismo rieducativo della pena”.

Ci sono poi “insufficienze significative” riguardo la presa in carico di detenuti affetti da patologie di natura psichiatrica. Solo presso alcuni istituti sono state costituite apposite sezioni denominate ‘Articolazioni per la tutela della salute mentale’, mentre per le Rems c’è una lista d’attesa di ben 735 persone. In crescita anche il sovraffollamento: dai 52.273 detenuti del dicembre 2020 si è passati ai 61.435 di oggi, a fronte di una capienza regolamentare di 51.234.

“L’affollamento dei luoghi, la sua ricaduta sulle condizioni materiali e sulla spersonalizzazione soggettiva, sommata alle fragilità individuali, nell’analisi del Garante, delineano il contesto entro il quale si collocano le scelte suicidarie”, osserva la Corte dei conti. Uno scenario, peraltro, che non investe solo i detenuti, ma anche il personale che opera all’interno degli istituti, esposto a burnout e depressione.

Il carcere, inoltre secondo la memoria, deve essere ripensato anche come luogo fisico che offra “spazi riservati all’intimità dei rapporti affettivi intrattenuti dai suoi ospiti”. Si auspica quindi la possibilità di ampliare i colloqui con i familiari e si definisce “particolarmente restrittiva” la disciplina che riconosce ai detenuti una telefonata a settimana della durata massima di 10 minuti ed ai detenuti per reati ostativi due soli colloqui telefonici al mese.

La conclusione è che “l’universo penitenziario appare ancora oggi espressione di una frattura fra ciò che dovrebbe essere e ciò che in effetti è”. E l’opinione pubblica “non deve disinteressarsi di ciò che accade oltre le mura degli istituti di pena, dal momento che le condizioni delle carceri, com’è noto, rappresentano la misura del livello di civiltà di uno Stato. Occuparci del carcere, in definitiva, vuol dire occuparci del livello di salute della nostra democrazia”.