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di Carmine Di Niro

L’Unità, 6 giugno 2023

Il governo di Varsavia viene nuovamente bocciato dall’Unione europea. La Corte di giustizia dell’Ue ha cassato la riforma della giustizia polacca del 2019, accogliendo il ricorso della Commissione europea contro il Paese per la mancata tutela dell’indipendenza dei giudici. “Il valore dello Stato di diritto fa parte dell’identità stessa dell’Unione quale ordinamento giuridico comune e si concretizza in principi che comportano obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri”, afferma la Corte la Cgue in una nota con cui ha comunicato la decisione.

Il 14 luglio 2021 il giudice europeo aveva ordinato la sospensione dell’applicazione delle norme relative in particolare alle competenze della camera disciplinare della Corte suprema, mentre nell’ottobre dello stesso anno la Corte aveva comminato una multa da un milione di euro al giorno per non aver sospeso la camera disciplinare, multa dimezzata ad aprile scorso dopo il parziale adempimento da parte dell’esecutivo di estrema destra di Varsavia guidato da Mateusz Morawiecki.

Nella sentenza, riferisce l’Agi, la Corte del Lussemburgo conferma che “il controllo del rispetto, da parte di uno Stato membro, di valori e principi come lo Stato di diritto, la tutela giurisdizionale effettiva e l’indipendenza della giustizia rientra appieno nella sua competenza”. I giudici rilevano che “nell’esercitare la loro competenza in materia di organizzazione della giustizia, gli Stati membri devono conformarsi agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Essi sono altresì tenuti a provvedere affinché sia evitata qualsiasi regressione, sotto il profilo del valore dello Stato di diritto, della loro legislazione in materia di organizzazione della giustizia, astenendosi dall’adottare norme che possano pregiudicare l’indipendenza dei giudici. Tale valore fondamentale, relativo all’identità stessa dell’Unione, si concretizza in obblighi giuridicamente vincolanti a cui gli Stati membri non possono sottrarsi basandosi su disposizioni o una giurisprudenza interne, anche di rango costituzionale”.

In secondo luogo, la Corte, fondandosi sulla sua precedente giurisprudenza, ribadisce la sua valutazione secondo la quale la Sezione disciplinare della Corte suprema polacca “non soddisfa il necessario requisito di indipendenza e di imparzialità”. “Essa ne deduce che la semplice prospettiva, per i giudici chiamati ad applicare il diritto dell’Unione, di correre il rischio che un siffatto organo possa decidere in merito a questioni relative al loro status e all’esercizio delle loro funzioni, in particolare autorizzando l’avvio di procedimenti penali nei loro confronti o il loro arresto oppure adottando decisioni riguardanti aspetti fondamentali dei regimi di diritto del lavoro, di previdenza sociale o di pensionamento ad essi applicabili, e idonea a pregiudicare la loro indipendenza”.

In terzo luogo, la Corte ritiene che, “in considerazione del carattere relativamente ampio e impreciso delle disposizioni della legge di modifica denunciate dalla Commissione e del contesto particolare in cui tali disposizioni sono state adottate, esse si prestano a un’interpretazione che consente che il regime disciplinare applicabile ai giudici, nonché le sanzioni previste da tale regime, siano utilizzati per impedire agli organi giurisdizionali nazionali di valutare se un organo giurisdizionale o un giudice soddisfino i requisiti riguardanti la tutela giurisdizionale effettiva derivanti dal diritto dell’Unione, se del caso interrogando la Corte in via pregiudiziale”.

Per i giudici di Lussemburgo “le misure in tal modo adottate dal legislatore polacco sono incompatibili con le garanzie di accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge. Infatti, tali garanzie implicano che, in talune circostanze, gli organi giurisdizionali nazionali sono tenuti a verificare se essi stessi o i giudici che li compongono oppure altri giudici o organi giurisdizionali soddisfino i requisiti previsti dal diritto dell’Unione”.