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di Claudio Laugeri

La Stampa, 19 novembre 2023

Spogliati “senza alcuna ragione convincente”. Maltrattati e “arbitrariamente privati della libertà”. Ecco perché, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire quattro migranti sudanesi con cifre che vanno dagli 8 ai diecimila euro ciascuno. La sentenza della prima sezione della Corte (presieduta da Marko Bošnjak) è datata 16 novembre, ma riguarda episodi accaduti nell’estate del 2016. Dopo aver avviato le pratiche per far attribuire ai loro clienti lo status di rifugiato, nel febbraio 2017 gli avvocati (Nicoletta Masuelli, Gianluca Vitale e Donatella Bava, tutti di Torino) avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo.

I quattro erano arrivati in Italia in momenti diversi: due “in un giorno imprecisato di luglio” del 2016 a Cagliari, un altro il 14 luglio a Reggio Calabria, uno il 6 agosto sempre a Reggio Calabria e l’ultimo l’8 agosto “in un luogo imprecisato della costa siciliana”. Il più giovane ha 30 anni, il più vecchio 43.

In comune, i quattro hanno che sono stati tutti trasferiti nello stesso centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Sono stati “costretti a salire su un furgone della polizia”, trasportati in una caserma dove sono stati “perquisiti”, obbligati a consegnare “i telefoni, i lacci delle scarpe e le cinture” e poi “è stato chiesto loro di spogliarsi”. Sono rimasti nudi dieci minuti, in attesa che gli agenti rilevassero le loro impronte digitali.

Concluse le procedure, la polizia ha fatto salire i quattro (assieme a una ventina di connazionali) su un pullman. Destinazione: l’hotspot di Taranto. Secondo quanto ricostruito nella sentenza, i migranti sono stati “costretti a rimanere seduti per l’intero viaggio” e potevano andare in bagno soltanto scortati e lasciando la porta spalancata, rimanendo “esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti”.

Il 23 agosto, i quattro (con un gruppo di compatrioti) sono risaliti su un pullman diretti a Ventimiglia, dove hanno incontrato un rappresentante del governo sudanese che li ha riconosciuti come cittadini del suo Paese. A quel punto, è stata avviata la procedura per il rimpatrio. In aereo, dall’aeroporto di Torino Caselle. Ma sul velivolo c’era posto soltanto per sette migranti, così il questore aveva firmato un provvedimento di trattenimento e i quattro sono stati accompagnati al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.

Uno, però, è stato prelevato pochi giorni dopo dalla polizia. Per lui, era pronto un posto sull’aereo per il rimpatrio. Lui non voleva, arrivato a bordo ha incominciato a dare in escandescenze assieme a un altro migrante finché il comandante del velivolo ha deciso di chiedere alla polizia di farli sbarcare entrambi, per problemi di sicurezza. Appena rientrato al Cie, l’uomo ha ribadito la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale. Lo stesso hanno fatto gli altri tre. Tutti hanno ottenuto lo status di rifugiato.

La sentenza della Corte condanna l’Italia a pagare per varie violazioni. Una riguarda “la procedura di spogliazione forzata da parte della polizia”, che “può costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante da non poter essere applicata senza un motivo imperativo”. E per i giudici di Strasburgo “il governo non ha fornito alcuna ragione convincente” per giustificare quel comportamento. Poi, ci sono le accuse dei quattro di essere rimasti senz’acqua e cibo nel trasferimento Ventimiglia-Taranto e ritorno. Il governo aveva ribattuto fornendo “le copie delle richieste della questura di Imperia a una società di catering”, che però “riguardavano altri migranti”. Per la Corte, quella situazione “esaminata nel contesto generale degli eventi era chiaramente di natura tale da provocare stress mentale”. E ancora, le condizioni vissute in quei giorni “hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante”, vietato dalla legge. I giudici di Strasburgo ritengono, poi, che i quattro siano “stati arbitrariamente privati della libertà”, pur se in una situazione di “vuoto legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica in materia di hotspot”, già denunciata nel 2016 dal garante nazionale dei detenuti. Per la Corte, ce n’è abbastanza per condannate l’Italia a risarcire i quattro: uno dovrà ricevere 8 mila euro, un altro 9 mila e altri due diecimila “a titolo di danno morale”.