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di Aldo Rocco Vitale

L’Opinione, 12 settembre 2023

Se, come già visto, seppur chiaramente in maniera non esaustiva, il diritto è in crisi oramai da tempo, non meno problematica appare la posizione del giurista odierno il quale non soltanto non sembra in grado di cogliere la crisi del diritto, ma neanche di percepire la propria stessa crisi. L’odierno giurista, infatti, è del tutto abbandonato a se stesso in una selva di confusione giuridica, normativa e giurisprudenziale, di ogni grado e livello, e in ogni ambito, tanto quello pubblicistico quanto quello privatistico. Ovviamente non si tratta soltanto del sottorganico del personale giudiziario e della sua atavica ideologizzazione, né della fuga dalla professione di avvocato, e neanche della difficoltà di accesso alla professione di notaio, ma di qualcosa di più e ben più radicato e profondo.

Senza dubbio l’elefantiasi normativa dell’ordinamento italiano, con circa 110mila atti normativi, tra cui spiccano ben circa 46mila decreti del Presidente della Repubblica, circa 13mila leggi ordinarie, circa 7.700 Regi Decreti, circa 2mila decreti legislativi, circa 2mila decreti ordinari, a cui si aggiungono le circolari e le ordinanze dei Ministeri, delle Regioni, dei Comuni, influisce, ma non è sufficiente per dare ragione reale della crisi odierna del giurista.

Senza dubbio la decadenza semantica del legislatore che nei decenni è transitata dall’essere sporadica ed episodica al divenire seriale e strutturata, con il confezionamento di testi normativi sempre più incomprensibili non soltanto in riferimento al loro interno sensus iuris - per lo più del tutto assente oramai - ma specialmente dall’elementare livello lessicale, influisce, ma non può da sola spiegare la attuale crisi del giurista.

Senza dubbio anche l’autoreferenzialità normativa, cioè l’assenza di visione sistemica che oramai affligge le varie e diverse branche del diritto, contribuisce a creare quel senso di smarrimento da cui sembra pervaso il giurista contemporaneo, ma anch’essa da sola non può esprimere che un frammento di uno scenario ben più articolato quale scaturigine della crisi di cui si tratta in questa sede.

A una tale fosca panoramica si devono aggiungere anche ulteriori elementi: una formazione universitaria non adeguata, espressione della crisi dell’università (questione da trattare separatamente in considerazione della sua vastità e complessità), un eccesso di riformismo legislativo per cui ogni nuovo Governo, di qualsivoglia colorazione ideologico-politica, si premura a introdurre sedicenti riforme migliorative dell’ordinamento giuridico che, con il tempo, finiscono soltanto per peggiorare la situazione, e, infine il diluvio di richieste, pretese e adeguamenti legislativi che provengono dalle istituzioni europee oramai praticamente senza alcun filtro, controllo o misura infittendo la già oscura selva normativa e distogliendo buona parte delle energie - già fiacche - del legislatore italiano, che a ciò è chiamato a dedicarsi in forma oramai prevalente se non esclusiva.

Eppure, neanche tutto ciò riesce ancora a chiarire natura e cause effettive delle crisi presente del giurista. Probabilmente, allora, si necessita di un altro approccio che non sia quello storico, che non sia quello sociologico, che non sia quello economicistico, che non sia quello dei sistemi multilivello, che non sia, cioè, nessuno di quelli maggiormente ricorrenti. L’unico approccio mancante, ma il solo in grado di dar piena contezza, è quello critico, cioè quello di matrice filosofica e ciò almeno per tre ragioni.

In primo luogo: solo l’approccio filosofico consente di scandagliare razionalmente il tema fugando ogni riduzionismo ideologico e aprioristico, come quelli suddetti.

In secondo luogo: solo l’approccio critico di matrice filosofica offre quelle garanzie di metodo che evitano di rinchiudersi nell’angusto angolo della dimensione ontica, dimentichi della feconda prospettiva onto-assiologica.

In terzo luogo: solo l’approccio critico-filosofico può consentire una investigazione adeguata che giunga al cuore del problema, poiché non c’è nulla di più filosofico dell’uomo e non c’è nulla di più umano della filosofia, a parte il diritto.

Ciò considerato, la prima inevitabile mossa è l’interrogazione: chi è il giurista? Quali sono i caratteri costitutivi del giurista? Cosa distingue un giurista da tutto il resto? Quali sono la natura, la funzione e i limiti del giurista? Quella di giurista è una definizione legata formalmente a un titolo? Perché oggi il giurista è in crisi? Come risolvere il problema? Questi sono, ovviamente, soltanto alcuni dei fondamentali quesiti rinvenibili e già così sarebbe quasi impossibile rispondere in considerazione di un così breve spazio, ma si può tentare di tracciare ugualmente il perimetro della questione.

In prima approssimazione si può affermare che il giurista sia colui che si occupa del diritto. Tuttavia, ci possono essere almeno due principali vie con cui ci si può occupare del diritto, una fittizia e l’altra invece autentica, in base al grado di adesione e corrispondenza effettiva con la natura razionale e relazionale del diritto medesimo. In questa direzione aveva ben intuito Alexis de Tocqueville, allorquando propose la distinzione tra leguleio e giurista, intendendo con il primo chi concepisce il diritto soltanto in quanto comando e volontà formalmente codificata, identificando, invece, nel secondo chi concepisce il diritto in quanto espressione di razionalità.

Estendendo e approfondendo la suddetta suggestiva dicotomia tocquevilliana, si può ritenere che il leguleio è meccanicamente rispettoso della volontà del sovrano al fine di garantire ordine e sicurezza, anche al prezzo della libertà, anche al costo di sacrificare i diritti fondamentali; il giurista, invece, osserva le normative su ordine e sicurezza sempre con occhio critico, mantenendo la consapevolezza che queste non si possono venire a trovare in contrasto con i principi fondamentali del diritto, con la libertà e con i diritti naturali dell’essere umano.

Alla luce di ciò, se il leguleio compiace il potere e lo serve, il giurista, invece, lo sfida e lo frena; se il leguleio si appella al mero bilanciamento degli interessi, il giurista confida nella ratio iuris; se il leguleio sorregge il potere, il giurista, invece, corregge il potere; se il leguleio si limita ad applicare la legge, il giurista, invece, la critica, cioè la passa al vaglio dell’esame della ragion giuridica; se il leguleio predica la legalità, il giurista, invece, aspira alla giustizia; il leguleio, insomma, è il gran sacerdote del potere e lo stregone della norma, mentre, invece, il giurista è il profeta della recta ratio.

Proprio dalla predetta differenziazione si evince l’attuale crisi del giurista che ha oramai abdicato al proprio ruolo di sofferente testimone della verità del diritto e di affaticato cercatore della giustizia, per appiattirsi pigramente su ruolo passivo e anemico del leguleio quale meccanico applicatore delle norme.

In questa direzione la crisi del giurista è quanto mai profonda poiché appare duplice: per un verso ontologica, in quanto il giurista, ridotto a leguleio, ha smarrito la propria identità e la consapevolezza intorno alla propria natura, ai propri compiti, al proprio ruolo, e, per altro verso, è assiologica, poiché il giurista ristretto nei panni del leguleio ha del tutto perso di vista la più ampia concezione del diritto come valore.

Il diritto non più riconosciuto come valore, dunque, è l’autentica e primigenia causa della crisi attuale del giurista, il quale come il leguleio è oramai così impegnato a guardare i propri piedi per seguire i sentieri delle norme da non essere più aduso a scrutare il cielo della giustizia. Soltanto acquisendo coscienza di questa cecità, il giurista, elevandosi al di sopra del leguleio, potrà cominciare a sperare di fuoriuscire da quella terribile e degradante crisi che oramai lo attanaglia e lo umilia da troppi decenni, che lo rende cieco rispetto alle esigenze umane le quali informano il diritto, e sordo rispetto alle pretese della giustizia, così che soltanto recuperando il valore del diritto il giurista stesso potrà sperare di conservare il proprio stesso valore.