di Marco Gasperetti
Corriere della Sera, 24 febbraio 2023
Sevgi Dogan, oggi ricercatrice della Normale di Pisa, è tra le promotrici in Italia del network Scholars at Risk per i docenti dei regimi totalitari. La censura in Turchia e la lotta per la libertà di pensiero. Non passa giorno che Sevgi Dogan non pensi a quei colleghi. Perché anche loro fanno parte del suo vissuto, sono schegge della sua anima. Spesso li conta. Novantadue, per ora. Liberi e salvi. Protetti dall’ostracismo, dall’integralismo, dall’odio e dalla censura. “Adesso sono davvero docenti, ricercatori, scienziati. Ora possono manifestare il loro pensiero senza rischiare la vita”, spiega Dogan, 43 anni, origini curde, una vita trascorsa in Turchia, dove ha conosciuto anche la censura, e adesso ricercatrice alla Scuola Normale di Pisa. La dottoressa Dogan non ha solo meriti accademici: dal 2008 si batte per garantire la libertà d’insegnamento agli studiosi costretti a vivere in regimi totalitari o in Paesi in guerra e cerca di farli ospitare in nazioni democratiche. “Sono tra le promotrici in Italia - racconta la docente - di Scholars at Risk, un network internazionale con sede a New York che si batte per questi diritti inalienabili. Come curda ho conosciuto anch’io la repressione intellettuale. Avevo nove anni quando dal Kurdistan la mia famiglia, di religione alevita, si trasferì in Turchia. Mio padre e mia madre nascondevano il loro credo, c’erano tensioni anche a sfondo religioso, ma io non capivo. Consideravo questa tacere come un’ingiustizia. E mi sono ribellata. Ho avuto problemi con alcuni compagni integralisti, ma anche protezione da altri amici sunniti. Anche loro non capivano questo atteggiamento. Poi all’università è arrivato un altro grave problema”.
La petizione - Siamo nel 2002. Sevgi Dogan, studentessa universitaria modello, firma una petizione nel suo ateneo di Istanbul per chiedere al governo di introdurre nelle scuole lo studio della lingua curda. “Non era - ricorda la ricercatrice - una questione politica, ma culturale, quella civiltà apparteneva anche alla Turchia. Mi hanno allontanato dall’università per un anno. E quel provvedimento è diventato uno stigma. Non potevo ambire all’insegnamento, non potevo fare ricerca. Io sognavo un Paese più libero e mi ritrovavo con le mani legate”.
Il concorso vinto - Poi, per fortuna, Sevgi trova un ateneo più laico ad Ankara, dove prosegue gli studi. Ed è qui che decide di partecipare a un concorso per un dottorato di ricerca all’estero. Sceglie l’Italia, Pisa, la prestigiosa Normale, ateneo d’eccellenza. “Non sapevo una parola d’italiano e soprattutto credevo che le lezioni fossero in inglese - continua la ricercatrice -. Studiavo la vostra lingua tutto il giorno, ho pianto per la fatica ma ce l’ho fatta. Nel 2016, dopo il colpo di stato in Turchia, inizio ad occuparmi di Scholars at Risk. C’erano almeno cinquecento persone licenziate dagli atenei turchi per le loro idee, dovevamo salvarle. Insieme a Ester Gallo dell’università di Trento, Claudia Padovani e Francesca Kelm dell’ateneo di Padova, creiamo una struttura italiana del network statunitense e l’anno dopo iniziano le adesioni degli atenei italiani. Oggi sono 36 che ospitano i perseguitati e i licenziati delle università delle nazioni a rischio. Arrivano da Turchia, Afghanistan, Iran, Yemen. E ancora, con la guerra, dall’Ucraina ma anche dalla Russia dove molti intellettuali manifestano dissenso al regime di Putin”.
Costrette a stare in casa - Le storie sono tante, a volte incredibili, strazianti nella loro drammaticità. Ci sono ricercatrici iraniane che a Teheran, dopo essere state cacciate da ogni tipo di scuola, erano costrette a stare in casa e adesso a Padova sono tornate a fare il loro prezioso lavoro. E ancora ci sono curdi, afghani. E all’ateneo di Trento due professori russi con le loro due figlie, finiti in prigione a Mosca per aver firmato una petizione contro Putin. “Ne abbiamo salvati 92, per ora - continua la ricercatrice - ma bisogna fare molto di più. Alcuni Stati come Francia, Germania, Stati Uniti hanno creato un fondo nazionale per aiutare questi perseguitati. Anche in Italia sta nascendo qualcosa di importante. Spero così che il mio sogno diventi realtà”. Qual è il sogno della dottoressa Sevgi Dogan? “Avere un mondo - risponde - nel quale la libertà di pensiero e di ricerca sia uno dei comandamenti inviolabili. E la scienza, in tutte le sue manifestazioni, possa volare senza pregiudizi e divieti ideologici”.