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di Luigi Manconi

La Repubblica, 15 settembre 2023

Davanti a ogni crisi la risposta del governo Meloni è sempre la stessa: l’innalzamento degli anni di carcere. Panpenalismo è un termine raffinato e, in apparenza, un po’ misterioso, che definisce, tuttavia, una realtà molto concreta e immediatamente riconoscibile. È la tendenza dell’autorità pubblica e della classe politica a proporre risposte giudiziarie e sanzioni penali a tutte quelle contraddizioni sociali e forme di trasgressione e di devianza che determinano ansie collettive.

Una tendenza che si traduce nell’introduzione di nuovi reati - una fattispecie penale per ogni sussulto emotivo della comunità - nell’innalzamento delle pene previste e nel ricorso al carcere. Una tendenza, infine, che se osserviamo l’ultimo anno di attività del governo di Giorgia Meloni, trascende nella psicologia politica e si manifesta come isteria.

Non credo di esagerare. Prendiamo l’ultimo caso. A Caivano, dopo che vi si erano recati la presidente del Consiglio, tre ministri, un sottosegretario e, a distanza di qualche giorno, oltre quattrocento tra poliziotti e carabinieri, si sono infine appalesati i membri delle bande criminali giovanili, per realizzare quella che viene definita una “stesa”. Ovvero un’azione intimidatoria accompagnata da raffiche di armi da fuoco sparate da moto che percorrono le vie del quartiere, costringendo le persone a “stendersi” per terra. Una modalità operativa resa celebre dalle serie televisive sulla camorra, che tuttavia non introduce alcuna novità rispetto ai più consolidati comportamenti delinquenziali. E, tuttavia, scatta il cortocircuito: l’enfasi mediatico-spettacolare e l’emozione suscitata da fatti di cronaca particolarmente efferati (violenze sessuali di gruppo su bambine) producono una reazione propriamente panpenalista.

Fulvio Martusciello, europarlamentare di Forza Italia, propone di rendere reato autonomo la “stesa”. Sarebbe la prima fattispecie penale scritta direttamente dagli sceneggiatori televisivi di “crime story”. Come si vede, il riferimento all’isteria - ovvero a una forma di nevrosi collegata a una angoscia - non è così fuoriluogo. E, si diceva, si tratta solo dell’ultimo episodio di una sequenza lunga un anno e che, per la verità, risale a oltre mezzo secolo fa: fu allora che prese le mosse una strategia politica giocata largamente sulla successione di emergenze sociali, che induceva a legiferare quasi si fosse sempre in “stato di eccezione”. Una politica dell’emergenza che, negli ultimi dodici mesi, ha conosciuto un’accelerazione particolare diventando compulsiva.

Quello che segue è un elenco di provvedimenti adottati o di misure in discussione o di annunci. Ognuno, evidentemente, ha un peso diverso, ma l’insieme è impressionante. Tra nuove fattispecie penali e innalzamento delle sanzioni abbiamo l’organizzazione di rave illegali (pena fino a sei anni); traffico di migranti e conseguente morte (innalzamento della pena fino a trent’anni); reato universale di organizzazione della gestazione per altri (in prima lettura, aumento delle pene fino a due anni); reato di omicidio nautico (in prima lettura, innalzamento della pena fino a dieci anni); reato di istigazione all’anoressia aggravata dalla minore età (proposta reclusione fino a quattro anni); dispersione scolastica (aumento della pena fino a due anni per i genitori); reato di incendio boschivo (aumento della pena fino a due anni); reato di occupazione abusiva di immobili (innalzamento della pena fino a due anni); e ancora: criminalità minorile (pene più severe fino a cinque anni per spaccio e la conseguente possibilità di custodia cautelare in carcere). E così via fino all’evocazione della castrazione chimica.

Come si vede, la logica della penalizzazione e dell’innalzamento delle sanzioni raggiunge e pervade i più diversi ambiti della società e le più diverse sfere della vita personale. Ma non è solo questa abnorme invasione della dimensione esistenziale da parte del sistema penale a preoccupare. Ancor più inquieta il fatto che questa politica sia interamente concentrata sui sintomi. Viene trascurata, fino all’annullamento, qualsiasi analisi delle cause prossime e remote per concentrarsi sulle manifestazioni patologiche più evidenti. Dice don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano: “Se arrivano con il kalashnikov, cosa gli mandi, un insegnante di scuola elementare?”. Giusto. Ma il problema è che, quei maestri elementari, rischiano di non arrivare mai tempestivamente e in numero adeguato.

Insomma, è del tutto evidente che i delinquenti armati non possono essere affrontati con la “cultura”, ma se - insieme ai poliziotti e ai carabinieri - non interviene anche la “cultura” (insegnanti, assistenti sociali, psicologi, operatori sanitari, servizi, investimenti economici…) l’attività di repressione risulterà fatalmente vana. E, invece, questo sembra essere l’approccio perseguito dal governo di Giorgia Meloni. Le radici sociali, l’ambito territoriale, le biografie familiari, insomma tutto ciò che costituisce il contesto delle diverse emergenze, viene ignorato.

Accanto alle misure di controllo e repressione, non un solo provvedimento di prevenzione e formazione e di cura delle cause sociali è stato proposto e tantomeno attuato. Non per quanto riguarda la violenza a opera dei minori e non sul piano dei comportamenti e degli stili di vita degli adolescenti; non relativamente all’accoglienza dei migranti, ma nemmeno all’educazione alla sicurezza stradale; e tanto meno a proposito delle ragioni culturali e materiali dell’abbandono scolastico. Eppure, si dovrebbe ricordare, anche l’abuso dei “mezzi di correzione” è un reato.