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di Luigi Manconi e Marica Fantauzzi

La Repubblica, 13 marzo 2024

“La sanzione detentiva non può comportare una totale ed assoluta privazione della libertà della persona; ne costituisce certo una grave limitazione, ma non la soppressione. Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale”. (Corte cost. 349/1993), Queste erano le parole dei giudici della Consulta che, più di trent’anni fa, chiarivano quale dovesse essere il senso della detenzione in Italia e fino a che punto potesse spingersi senza offendere la dignità umana.

Da allora il dibattito su “quanto residuo di libertà” possa essere concesso alla persona detenuta ha conosciuto stagioni diverse, soprattutto se ci si riferisce ai cosiddetti “detenuti speciali”, ovvero coloro che sono sottoposti al regime di 41 bis.

Di uno di loro si è parlato molto nel corso del 2023 e, nonostante il silenzio degli ultimi mesi, la sua vicenda umana e giudiziaria continua a porre grandi interrogativi, la maggior parte dei quali rimasti senza risposta. Martedì 19 marzo la Cassazione, però, dovrà esprimersi su un nuovo ricorso presentato dalla difesa di Alfredo Cospito contro l’applicazione di quel regime nei suoi confronti. A questo punto è bene ricordare due elementi, ripetuti fino allo stremo durante quei giorni (182) del suo sciopero della fame. Il primo riguarda l’originaria finalità di questo regime e l’utilizzo che, invece, se ne fa. Il regime di 41 bis venne inserito all’interno del nostro ordinamento penitenziario proprio negli anni in cui le stragi di mafia imperversavano e lo Stato correva ai ripari, con l’unico obiettivo di interrompere le comunicazioni fra il detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza. In genere, però, la sua applicazione comporta limitazioni, divieti e interdizioni che vanno ben oltre quella finalità, realizzando una carcerazione particolarmente afflittiva.

Con la possibilità, inoltre, di rinnovarla di anno in anno (come avvenne nel caso di Bernardo Provenzano morente, ragion per cui l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei Diritti umani). Se, quindi, questo elemento riguarda tutti coloro che sono sottoposti al regime speciale, il secondo elemento riguarda in particolare il caso di Cospito. Ovvero la possibilità che per lui, non appartenente a un’organizzazione di stampo mafioso, quindi centralizzata, gerarchica e organizzata, sia sufficiente il regime di Alta sicurezza. A dirlo sono state alcune autorità giudiziarie che, più volte hanno segnalato con note ufficiali la questione al Ministero della Giustizia, tra cui: la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, la Direzione distrettuale Antimafia di Torino e l’allora Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Intanto si apprende che oggi Alfredo Cospito nonostante una lenta ripresa seguita al digiuno, soffre di alcuni disturbi e in particolare fatica a leggere. Sapranno i giudici, che nei prossimi giorni decideranno della sua permanenza al 41 bis, ricordarsi di quanto scritto dalla Corte costituzionale e consentire a Cospito di “espandere la sua personalità individuale”? Nonostante tutto.