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di Felice Manti

Il Giornale, 9 gennaio 2023

Un magistrato contro la Procura di Messina che ha risparmiato l’ex legale Eni: “Ha leso i miei diritti”. A questa disastrata giustizia mancava solo la prescrizione a la carte. Gli strascichi del caso Amara arrivano sulle sponde dello Stretto e finiscono sulla scrivania del gip Giovanna Sergi, a Reggio Calabria. Sede competente per stabilire come è stato possibile che due imputati per uno stesso reato “in concorso” a Messina abbiano avuto due trattamenti diversi: uno stralciato e prescritto, l’altro rinviato a giudizio e infine prosciolto.

A finire nel tritacarne Amara è l’ex procuratore aggiunto di Catania Giuseppe Toscano. Tra il 23 e il 24 aprile del 2018 l’ex legale Eni racconta ai pm di Messina che nel giugno 2012 il magistrato avrebbe convinto l’allora procuratore di Siracusa Ugo Rossi (che ha sempre negato qualsiasi pressione) a coassegnare al pm Giancarlo Longo un procedimento per alcuni reati finanziari commessi da Amara su cui già indagava il pm siracusano Marco Bisogni, oggi eletto al Csm nelle fila di Unicost. Il metodo di Longo, in realtà, era quello dei fascicoli “a specchio” che il magistrato si auto-assegnava per monitorare le indagini dei colleghi, legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, come denunciarono otto pm di Siracusa nel 2016. Ma per i pm messinesi guidati allora da Maurizio De Lucia (oggi a Palermo), che da tempo ingaggiava con Siracusa una velenosa battaglia di carte bollate, Amara e Toscano avrebbero agito in concorso per condizionare un’indagine. Prove del condizionamento di Rossi non ce ne sarebbero, ma Bisogni si costituisce parte civile e reclama 100mila euro di danni a Toscano, prendendo per buone le rivelazioni di Amara. Il pm Longo, nel frattempo, viene arrestato, ammette di aver ricevuto soldi per manipolare alcuni processi, patteggia cinque anni già tutti scontati e lascia la toga.

Dopo la richiesta di rinvio a giudizio di aprile, a ottobre ecco la repentina strambata: in pochi giorni i magistrati messinesi chiedono il rinvio a giudizio di Toscano e per Amara l’archiviazione per avvenuta prescrizione, una manna di cui l’ex avvocato dirà di non sapere nulla ma che ne ha salvaguardato la credibilità. Perché dopo aver frequentato la terra di mezzo tra Procure, studi legali e presunte logge massoniche, nel frattempo Amara aveva deciso di vuotare il sacco in altre quattro Procure diverse. Raccontando insieme balle, verità e mezze verità. Lo ammette lui stesso, autodefinendosi un “Pinocchio” davanti ai magistrati di Potenza. Qualcuno l’aveva capito prima, qualcun altro gli ha creduto fin troppo. Vedi la Procura di Milano, che aveva puntato su Amara come testimone chiave nel maxi processo milanese Eni-Nigeria. Con l’assoluzione di tutti gli imputati Milano si è definitivamente giocata la sua reputazione, il neo procuratore Marcello Viola ha tutta l’intenzione di riguadagnarsela ma ci vorrà del tempo.

E Toscano? A lui non resta che chiedere lumi sulle troppe stranezze di cui è stato vittima, nonostante il proscioglimento. “Come fa Amara a disconoscere la prescrizione di cui ha beneficiato?”, chiede al gip il magistrato a riposo. Come è stato possibile che, a parità di reato commesso nella stessa data, la prescrizione maturi in due date diverse - ottobre 2018 per Amara, giugno 2020 per Toscano - al netto di eventuali periodi sospensivi o interruttivi che agli atti non risulterebbero? Secondo Toscano (che ha già fatto ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo) il mancato deposito degli atti sulla arbitraria prescrizione di Amara ha privato la sua difesa di una prova decisiva relativa alla sua protestata estraneità ai fatti, proprio perché l’accusatore era stato premiato con un provvedimento che non gli spettava. Al gip di Reggio l’ardua sentenza, al Guardasigilli Carlo Nordio le necessarie verifiche.