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di Fabio Fazio

Oggi, 2 maggio 2024

Al Beccaria, alla pena si sommavano le angherie. E la rieducazione? Zero. Al carcere minorile Beccaria di Milano accadevano cose atroci. Molti ragazzi detenuti hanno subito violenze inaudite: calci, pugni, frustate, botte, tentativi di stupro da parte delle guardie penitenziarie con la incomprensibile copertura di tanti, compreso qualcuno del personale sanitario e degli educatori. Altre volte pare che gruppi di detenuti abusassero dei più fragili mentre chi avrebbe dovuto sorvegliare si voltava dall’altra parte. Venticinque circa gli agenti coinvolti, alcuni dei quali arrestati e altri sospesi. Aspettiamo indagini e processi prima di trarre conclusioni, ma quel che già sappiamo sembra più che sufficiente.

Il giudice per le indagini preliminari, Stefania Bonadeo, ha descritto un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, pestaggi di gruppo. Quelli più presi di mira sono stati gli stranieri: per lo più minori non accompagnati, che non avevano a chi raccontare quel che stavano subendo. L’età di chi finisce in un carcere minorile è compresa fra i 14 e i 18 anni. Al Beccaria i detenuti sono una settantina. Problemi di sovraffollamento, più del 50% stranieri, reato più diffuso, il furto. Dei 500 minori detenuti in Italia, quasi il 70% è senza una condanna definitiva.

Moltissimi anni fa, quasi all’inizio della mia carriera, mi chiesero di andare a fare uno spettacolo al Beccaria. Nel cortile centrale fu montato un palco e un microfono con delle casse acustiche. Facevo delle imitazioni: attori, volti televisivi, cantanti. Le guardie accompagnarono una ventina di ragazzini. Feci del mio meglio ma non fu un granché. Si animavano solo durante i pezzi musicali: Vasco Rossi, Celentano. Ma i monologhi cadevano nel vuoto. Qualche timidissimo applauso e faticosamente arrivai alla fine. A quel punto l’atmosfera si sciolse, si avvicinarono sorridenti e, seppur tardivamente, mi resi conto della situazione. Me la spiegò uno di loro: i suoi compagni erano quasi tutti stranieri e non avevano capito niente di quel che avevo detto ma che erano comunque contenti. Fu un attimo in cui percepii tutta l’assurdità della situazione: la mia ma soprattutto la loro. Quei ragazzi non dovevano stare lì. Il carcere non è un posto per dei ragazzi. Oggi saranno uomini più o meno della mia età: chissà che cosa è stato delle loro vite, chissà quanti di loro ce l’hanno fatta.

I detenuti ragazzini sono smarriti e soprattutto sono persi. Nel senso che lì dentro li perdiamo. Chiuderli in gabbia è insensato. La condizione delle nostre carceri è disperata e in costante peggioramento. Quel che è accaduto in questi giorni al Beccaria ne è la prova. È il fallimento totale di una società che dovrebbe recuperare e restituire alla collettività dei giovani liberati dalla violenza che hanno dentro e che li ha portati a delinquere. Ma se alla violenza della pena si aggiunge quella procurata volontariamente da chi dovrebbe invece custodire chi è detenuto, nessuno si salva. Non sarà un caso se ad oggi, mentre scrivo, sono 32 i suicidi in carcere dall’inizio dell’anno