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di Gian Domenico Caiazza*

Il Dubbio, 3 dicembre 2023

È sorprendente come la politica italiana si ostini ad immaginare ciclicamente implausibili complotti orditi dalla magistratura, e si rifiuti di cogliere e risolvere, invece, la vera patologia che da un trentennio affligge il nostro Paese. Immaginare riunioni carbonare di magistrati, o di correnti della magistratura, impegnate a pianificare assalti al governo inviso, serve solo a ridurre a caricatura un problema invece serissimo.

Il potere giudiziario ha consolidato un peso anomalo, che condiziona il libero e pieno esercizio di quelli legislativo ed esecutivo. Naturalmente, questo è accaduto per lo stratificarsi di complesse ragioni storiche, sociali e -certamente- anche politiche, che non è questo il luogo per ripercorrere. Siamo però tutti in grado di individuare almeno due anomalie che hanno reso possibile questo grave squilibrio democratico, e dunque siamo -o meglio, saremmo- in grado di intervenire seriamente, se solo lo volessimo, invece di cianciare di complotti.

La prima è quella della totale irresponsabilità del potere giudiziario. Mentre il potere legislativo risponde agli elettori e l’esecutivo al Parlamento, il potere giudiziario non risponde mai dei propri atti a nessuno. Nessuna responsabilità civile (legge storicamente e statisticamente disapplicata), nessuna responsabilità professionale (99,7% di promozioni). E appena ti azzardi ad immaginare qualche rimedio, come il fascicolo personale ed il vaglio delle performance, si scatena l’inferno. E subito il potere politico, mentre finge di ringhiare favoleggiando ridicoli complotti, si precipita, mansueto, a sterilizzare la riforma (il controllo, diversamente da quanto previsto dalla Cartabia, sarà ora “a campione”!).

La seconda anomalia, di dimensioni planetarie (siamo l’unico Paese al mondo a farlo), è l’esercito di magistrati fuori ruolo presso l’esecutivo, con un buon centinaio al Ministero di Giustizia, tutti nei posti chiave dove si fa la politica giudiziaria, o nella più moderata delle ipotesi si impedisce che venga fatta, quando sgradita alla casta. Dunque il potere giudiziario invade diffusamente l’esecutivo, condizionandolo in nome della “competenza tecnica”, mentre se ti azzardi ad ipotizzare una riforma del Csm che preveda una percentuale solo paritaria di membri laici (se ne parlò a lungo nella Costituente), ti saltano alla giugulare in nome della indipendenza violata della magistratura.

Ed ancora una volta, il mansueto governo si premura di sterilizzare quei pochi ma efficaci interventi previsti dalla riforma Cartabia, affidando la riscrittura delle norme sui fuori ruolo ad una commissione composta per i due terzi… da fuori ruolo! Morale della (triste) favola: non è in corso nessuno scontro tra politica e magistratura. Sono scenette per i gonzi, in favore di telecamera. La politica giudiziaria è saldamente nelle mani del potere giudiziario, per espressa e giuliva volontà politica (anche) di questo governo. E, quando non basta, il Procuratore nazionale Antimafia chiama, ed il governo esegue.

*Presidente Unione Camere Penali Italiane