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di Lucio Caracciolo

La Stampa, 24 luglio 2023

Il governo parla di incubo invasione ma la nostra malattia è lo spopolamento. Basta finanziare i regimi arabi per chiudere i confini: è l’unica cura possibile. Alla grande conferenza di Roma su sviluppo e migrazioni i governanti europei, a cominciare dai nostri, non parlano che di fermare i migranti irregolari. Comprensibile e persino commendevole, magari cominciando a rendere meno impossibile approdare in Italia e in Europa per via regolare, come assicura Meloni. Finora pare non si riesca a inventare nulla di meglio che finanziare regimi arabi mediterranei perché sbarrino la loro frontiera terrestre con l’Africa profonda, facendo leva sul diffuso disprezzo per i neri. Il caso tunisino è modello. Morire pugnalati nel Sahara come alternativa ad affogare nel Mediterraneo? Confidiamo che persuasione morale e incentivi economici del nostro governo nei confronti del presidente Saied - non più né meno dittatore di quasi tutti i suoi colleghi nordafricani - migliorino il clima a Sfax e dintorni.

Eppure la grande nuvola mediatica alimentata da esponenti e ministri della destra continua a battere sull’incubo dell’invasione. E anche a sinistra ogni tanto uno squillo rimbomba. Fino a scivolare nel puro complottismo, evocando il mostro della “sostituzione etnica”. Sempreverde teoria per cui misteriose élite cosmopolitiche organizzerebbero la liquidazione della razza bianca per imporre il dominio di neri e alieni vari nel Vecchio Continente. Italia in testa. Come se noi italiani, per fortuna uno dei popoli più “impuri” al mondo, fossimo gli eredi diretti di Giulio Cesare o i greci discendessero da Pericle.

Fin qui classico razzismo. Ma colpisce il tentativo di mettere insieme migrazioni e complotto anti-italiano in un Paese che ha nel declino demografico il suo tallone di Achille. La nostra priorità dovrebbe consistere in robuste politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità insieme a costanti flussi migratori, regolari e gestiti per quote con Paesi stranieri, per evitare la desertificazione del Belpaese. Altro che sostituzione etnica: qui rischiamo lo spopolamento, con una popolazione anziana di proporzioni insostenibili, sufficienti a sovvertire l’equilibrio sociale. Oggi un italiano su quattro ha almeno 65 anni, fra vent’anni sarà uno su tre. Le classi scolastiche si svuotano - i ragazzi fra i 3 e i 18 anni sono oggi 8 milioni e mezzo, saranno 7 fra vent’anni - e le iscrizioni alle università calano di brutto. Bassa natalità e invecchiamento della popolazione ci spingono verso un drastico declino, non solo economico. E noi ci preoccupiamo del colore della pelle di chi abita lo Stivale?

Forse converrebbe spendere almeno parte delle energie con cui alimentiamo la paura dei migranti per studiare e combattere la vera emergenza nazionale. Né possiamo ridurla alla dimensione economica e sociale, che pure pesa. È un’emergenza culturale che riguarda il nostro modo di (non) convivere, la concentrazione autistica su se stessi, quasi fossimo noi lo scopo della nostra vita.

La miscela fra emergenza demografica e fobia del migrante - o dell’altro in genere - può innescare circuiti culturali devastanti. I movimenti estremisti violenti e razzisti che hanno insanguinato l’Europa nella prima metà dello scorso secolo sono fioriti sulla narrazione dell’aggressione aliena contro una minoranza minacciata, che intanto dominava il mondo e colonizzava Afriche e Asie. Per tacere del segregazionismo americano, tutt’altro che domato. È difficile affrontare con piglio propositivo questioni esistenziali di tanto calibro, coscienti come siamo di non poterle risolvere nel breve periodo. Ma per poterle gestire e curare non con magie improbabili ma via terapie da affinare è meglio concentrarci sulla realtà. E scacciare i fantasmi. Specie in tempo di guerra.