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di Annarita Digiorgio

Il Foglio, 21 novembre 2023

La legge del taglione, la vendetta privata, il rancore. Perché è sbagliato dire “in galera e buttate la chiave”: ce lo insegna l’esperienza di Lara in carcere. “Lo sai che facciamo qui dentro a quelle come te?”, dice con aria minacciosa una detenuta a Lara, dopo che in carcere si è sparsa la voce che ha provato ad ammazzare un neonato. È lo spirito di vendetta privata, giustizia sommaria, la famosa legge del taglione di epoca medioevale, con cui i criminali vendicano crimini che non accettano. Ma con cui sempre più spesso, nonostante l’illuminismo e la società della ragione, ancora oggi spesso abbiamo a che fare.

Lo vediamo in questi giorni con le minacce che molti sui social rivolgono a Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchittin. E che nello stato di diritto della culla della ragione non dovrebbero contemplare neppure frasi come “in galera e buttare la chiave”. Perché la speranza è l’unico antidoto alla recidiva. È notizia di oggi che il tribunale di Roma ha condannato il carabiniere che nel 2019 scattò una foto al ragazzo americano che fu bendato in caserma durante l’interrogatorio per l’omicidio del brigadiere Cerciello, e che fu condivisa persino dal ministro Salvini. “Non c’era necessità investigativa di fare quella foto né di divulgarla, nulla giustifica la divulgazione di foto in una chat che non era investigativa. C’era una partecipazione emotiva ai fatti, che non c’entrava con le indagini”. Mentre il carabiniere che lo aveva bendato è stato condannato per misura di rigore non consentita dalla legge. L’omicida sconterà la pena che la giustizia reputa congrua, nessuna tortura ulteriore è legittima per chi segue il faro del diritto e non della barbarie.