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di Maurizio Molinari

La Repubblica, 16 ottobre 2022

La vittoria elettorale della destra e l’inizio della legislatura devono portare le forze progressiste e riformiste all’opposizione ad affrontare e comprendere l’inequivocabile sentimento di malessere espresso dall’elettorato nei confronti delle istituzioni repubblicane.

Discutere il nome del nuovo segretario del Pd, eventuali convergenze fra Pd, M5S e Terzo Polo o anche la nascita di nuove formazioni politiche sono tentazioni di soluzioni tattiche che rischiano di far perdere l’occasione strategica di studiare la protesta che dilaga nel ceto medio, affrontare emergenze come i cambiamenti climatici e la sanità pubblica, rinnovare il concetto di sicurezza nazionale alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina e rafforzare il nostro ruolo nella costruzione dell’Unione Europea. Trovarsi all’opposizione in questa fase di drammatica transizione, in Europa ed in Occidente, può essere una straordinaria opportunità a patto di non essere imprigionati dall’urgenza del fare e dedicare invece tempo e risorse alla necessità di conoscere cosa c’è alle fondamenta di un’opinione pubblica che nel settembre 2022 ha ripetuto la scelta del marzo 2018 premiando in maniera inequivocabile le forze anti-sistema.

Questa è la riflessione che il nostro giornale ha iniziato ad ospitare dall’indomani del voto nelle pagine delle “Idee” e questa è la conversazione che ci proponiamo di sviluppare con i nostri lettori - su ogni piattaforma editoriale - nella consapevolezza che le risposte che cerchiamo non sono facili né possono essere immediate perché il ritardo della politica tradizionale rispetto ad una società in rapida trasformazione non può essere colmato da slogan seducenti, tweet aggressivi o messaggi banalizzanti.

Il dato da cui partire è il malessere di un Paese come il nostro che - al pari di altre nazioni industriali avanzate - ha la maggioranza della popolazione che non si sente sufficientemente protetta dallo Stato. Sono milioni le famiglie che hanno difficoltà ad acquistare i farmaci di prima necessità ed hanno ancor più il problema di come gestire i propri anziani, sempre più bisognosi di tutti. Queste famiglie avrebbero bisogno di una Sanità pubblica in grado di occuparsi della salute degli anziani, dei malati gravi e dei più bisognosi anche perché la durata della vita si allunga. Ma lo Stato - né in Italia, né nelle nazioni più ricche, dagli Stati Uniti all’Australia - non ha risorse economiche sufficienti per fronteggiare questa richiesta di protezione collettiva. La risposta, dunque, deve essere non tradizionale, innovativa, frutto dello studio di una realtà drammaticamente nuova. Ma è chiaro che si tratta di ripensare completamente la spesa sanitaria, che è parte cruciale del bilancio pubblico.

Lo stesso vale per l’istruzione: il numero-shock di giovani che rinunciano agli studi universitari, anche se non riescono a trovare lavoro, significa che le famiglie perdono educazione, si impoveriscono culturalmente, facendo avanzare il disagio. E che per convincere questi giovani a tornare a scommettere sullo studio bisogna ripensare il ruolo della ricerca come attraente strumento di emancipazione, di successo e di benessere. Un Paese dove i giovani non hanno fiducia nelle proprie Università è condannato al malessere perenne. E poi c’è il fronte del lavoro: la maggior fonte tradizionale di sicurezza per ogni famiglia è diventata il motivo di più seria insicurezza a causa delle innovazioni che modificano radicalmente il mercato, creano nuove professioni e obbligano a riqualificarsi anche chi è nel bel mezzo della propria vita.

La somma fra incertezza sulla natura del lavoro, incertezza sulla credibilità degli studi e incertezza sulle garanzie sanitarie genera una situazione di sfiducia e preoccupazione destinata a nutrire ogni sorta di protesta, politica e sociale, con pericoli crescenti per le istituzioni e per la democrazia rappresentativa.

Rispondere a questa sfida significa identificare una formula di giustizia economica capace di trasformare lo Stato nel garante tanto dei diritti che del benessere dei cittadini. Una giustizia economica che, per essere comprensibile alle nuove generazioni, deve includere anche politiche credibili per fronteggiare i cambiamenti climatici proteggendo la popolazione che vive lungo i corsi d’acqua, ammodernando le infrastrutture fatiscenti, soccorrendo gli agricoltori aggrediti dalla siccità e facendo leva sul taglio delle emissioni nocive per ridefinire il modello di sviluppo nazionale.

Si tratta di sfide epocali ma, senza affrontarle, le diseguaglianze che sono fra noi si moltiplicheranno, il distacco fra cittadini ed istituzioni aumenterà e la politica si trasformerà in una costante rincorsa agli umori più negativi, facendo prevalere posizioni sempre più estreme. La necessità di formulare un’idea di giustizia economica al passo con il XXI secolo nasce anche dalla constatazione che per le nuove generazioni la questione dei diritti è fondamentale: per identificare e garantire i diritti degli utenti digitali sul web, i diritti di genere nel senso più ampio, i diritti climatici, i diritti di chi sceglie di diventare italiano come anche di dare risposte a questioni eticamente controverse come il diritto al fine vita. In ultima istanza si tratta di rispondere al bisogno di protezione dei cittadini su due fronti strategici: diritti e prosperità. Costruendo di conseguenza una nuova formula di cittadinanza repubblicana che, basandosi sui valori della nostra Costituzione, includa anche i doveri mazziniani dei singoli nei confronti della collettività: dal rispetto per il prossimo alla necessità di non mettere in alcun modo a rischio identità e sicurezza nazionale.

Ecco perché le forze di ispirazione progressista e riformista che oggi si trovano nel campo dell’opposizione alla destra, dentro e fuori il Parlamento, hanno di fronte a loro un’occasione di valore: studiare a fondo le ferite dell’Italia per arrivare a definire una teoria di giustizia economica capace oggi di declinare l’unicità della cittadinanza repubblicana. Contribuendo così a rafforzare dall’interno e in maniera decisiva non solo l’Italia ma anche l’Unione Europea e la Comunità delle democrazie, assediate dalle sfide sempre più aggressive delle autocrazie del nostro tempo.