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di Alberto Cisterna*

Il Dubbio, 16 dicembre 2023

Il libro di Barbano è una fotografia sui meccanismi della magistratura. Il titolo non deve creare confusione. “La gogna” non è la storia di un qualche supplizio mediatico-giudiziario, né l’anticamera di una denuncia contro le sopraffazioni che talvolta si insinuano nelle pieghe dei processi per obiettivi inconfessabili. È piuttosto una fotografia, nitida, ravvicinata di un meccanismo di potere che viene messo a nudo in una dimensione quasi domestica, persino pantofolaia. Ricorda la Microfisica del potere di Michael Foucault perché vuole conseguire una ricostruzione minuta, dettagliata, ravvicinata di come il potere talvolta si inceppi, poi consumi epurazioni esemplari e, infine, riparta cercando di dimenticare e di far dimenticare la vergogna di certe epifanie poco commendevoli.

Probabilmente erra chi cerca nelle pagine di Alessandro Barbano pruderie istituzionali, bassifondi morali, screpolature caratteriali. Perché è piuttosto il tentativo di raccontare il potere giudiziario da una quota più bassa, con un compasso più stretto, da una prospettiva a tratti antropologica che si concentra sui dettagli dei comportamenti, sull’emotività delle reazioni, sulla banalità delle giustificazioni, sulla modestia delle conversazioni per sverniciare un sistema di potere dall’aura di superiorità morale che le è stata cucita addosso nel corso degli ultimi tre decenni e che le verità ufficiali dell’incontro all’hotel Champagne vogliono caparbiamente preservare.

C’è del marcio in alcuni gangli del potere giudiziario italiano racconta Barbano. A fronte di una quasi totalità di toghe impegnate nell’immane compito di dare risposte qualificate alla domanda di giustizia dei singoli e della collettività, un corpuscolo di faccendieri si aggira nelle stanze del potere o si accampa fuori di esse nel tentativo di occuparle appena libere e per farlo cerca intese, raggiunge compromessi, brucia vite, consuma nefandezze, stringe patti scellerati con certi giornalisti. È un prisma opaco, che non scinde e proietta le luci dell’iride, quello che il libro descrive; è piuttosto una sorta di buco nero che conosce alla perfezione le regole della sopravvivenza e, quando occorre, della sopraffazione per tentare di perpetuarsi, e soprattutto di non farsi travolgere da qualche infausto incidente.

Per farlo si rendono necessarie operazioni spregiudicate, si devono sacrificare i meno fortunati, si devono sganciare le carrozze malmesse di un treno che rischia di deragliare alla prima curva. Con un paradosso apparente: mentre la politica, la finanza, l’economia, la burocrazia si trovano a patire indagini e processi senza grandi mezzi, se non quelli legittimi del processo, la giustizia - quando veste i panni di Crono che divora i propri figli - ha sempre un occhio rivolto alla corporazione che vuole preservare, al potere che deve restare intatto anche a costo di assumere il volto più feroce, di assumere le iniziative più severe.

Ecco perché il titolo scelto da Barbano (La gogna) appare appropriato a quanto si prefigge di raccontare. Se il fortunato libro di Sallusti e Palamara (Il Sistema) è una storia raccontata dalla parte degli sconfitti e insieme una chiamata in correità contro alcuni magistrati per una gestione condivisa e diffusa delle spartizioni e delle carriere, il testo di Barbano è - invece - una faticosa, dura, spiacevole a tratti, risalita della corrente impetuosa che ha frettolosamente diluito in mare il sottofondo istituzionale e il sottobosco umano che trapela oltre l’attovagliamento serale dell’hotel Champagne.

Potrebbe essere quella dell’autore una scelta giornalistica riservata agli addetti ai lavori, destinata a un pubblico selezionato di esperti di cose di giustizia, se non fosse per la scrittura accattivante, serrata, da giallo poliziesco con cui quel precipitato di congerie processuali e marchingegni istituzionali è reso nelle pagine del libro. La gogna non cerca colpevoli occulti, non diluisce responsabilità e, soprattutto, non dispensa assoluzioni.

Vuole comprendere il contesto che porta a un’indagine che utilizza trojan a intermittenza e fa incetta di bugie; vuole descrivere gli uomini che ne sono rimasti coinvolti, in primo piano e dietro le quinte; vuole spiegare che la giustizia è in mano a persone normali, con debolezze normali, con paure normali, ma con un potere talvolta enorme che non tollera obiezioni o non ammette eccezioni.

Restano alcune domande finali tra le righe: si deve diffidare delle toghe? Certo che no, anzi a tratti nelle pieghe del libro si intravedono magistrati coraggiosi, gente con la schiena dritta che non partecipa ad alcun intrigo, sono spesso gli sconfitti, ma questo non conta ovviamente, la loro gogna è un laico martirio; ci sono rimedi per evitare che tutto quel che Barbano racconta possa ripetersi? Spetta alla politica assumersi la responsabilità di riformare carriere, processi e organizzazione giudiziaria, tutte cose complicate assai; tanti magistrati stanno facendo il possibile e si deve dare atto al nuovo Csm di scelte trasparenti e metodi di lavoro innovativi, al riparo da moralismi e vittimismi.

*Magistrato