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di Ilvo Diamanti

La Repubblica, 12 agosto 2024

Per il 58% necessari più controlli: le crisi internazionali generano insicurezza. Gli under 30 e gli studenti hanno un senso di apertura più elevato. I confini condizionano il “sentimento” degli italiani, come dimostra la recente indagine condotta dal LaPolis-Università di Urbino Carlo Bo. Perché de-limitano lo spazio dei Paesi. E, per questo, de-finiscono il mondo. Non solo sul piano politico. Anche “personale”. Il “finis”, alla base del concetto di “con-fine”, infatti, significa “limite”. Entro il quale possiamo muoverci. O meglio, ci si può muovere. I confini, infatti, servono a de-limitare i “movimenti”. Perché il controllo dei confini, in particolare, è un metodo di controllo. Necessario a garantire la libertà e la sicurezza personale, in base alla sovranità “nazionale”. Visto che le “nazioni” sono de-limitate, cioè, de-finite, dai confini. In questa fase, in particolare, i motivi di in-sicurezza inter-nazionale sono diversi e crescenti. Vicino e lontano dai nostri confini. A causa delle guerre che hanno sconvolto il mondo intorno a noi. E che noi percepiamo in tempo reale.

I media, d’altronde, riproducono tutti i motivi di tensione. In diretta. Perché la paura fa (anche) spettacolo. E “lo spettacolo della paura” garantisce audience. Ma i confini sono limiti che è necessario superare. Per diverse ragioni. Politiche, economiche, di mercato. E personali. Il controllo e, insieme, l’apertura dei confini generano, dunque, sentimenti diversi, nella società. Fino ad alcuni anni fa, in particolare, il “controllo delle frontiere” era necessario per controllare e contrastare i movimenti migratori. Per frenare e, se possibile, fermare l’invasione degli stranieri. In arrivo, soprattutto, dall’Africa.

Negli ultimi anni, però, questo sentimento è cambiato. In primo luogo, perché i flussi migratori si sono ridotti sensibilmente. Mentre la domanda di persone che praticano lavori e attività soprattutto manuali, nelle aziende, è cresciuta. E sono molto pochi i giovani italiani disposti a svolgerli. I nostri giovani, semmai, e-migrano, a loro volta, in misura crescente, verso altri Paesi. In Europa. E non solo. Anche per questo gli indici demografici, in Italia, sono, da tempo in declino. Così, mentre gli “altri”, che vengono da fuori calano, i “nostri” con-cittadini, più giovani e preparati, se ne vanno “fuori”. Naturalmente, come si è detto, da qualche anno, i confini sono guardati con maggiore attenzione, per ragioni diverse. Sempre legate alla in-sicurezza. Generata dai conflitti e dalle guerre che hanno sconvolto i Paesi dell’Est. Dopo l’invasione della Russia in Ucraina. E oggi non ci sono “muri” che de-limitano lo spazio in Europa. E non solo, visto quel che avviene in Medio Oriente. Intorno a Israele. Per questo motivo è interessante, ma anche inquietante osservare come, nel corso degli anni, la domanda di controllo dei confini, fra gli italiani, abbia mantenuto un’ampiezza elevata. E costante. Come emerge dal sondaggio.

Questa indagine, infatti, riproduce un sentimento che procede con intensità pressoché immutata dal 2018. Lo sottolinea la quota di persone secondo le quali “i confini dell’Italia andrebbero maggiormente controllati”. Sostanzialmente stabile. Era il 56% nel 2018 e oggi è salita al 58%. È interessante, semmai, osservare come l’ampiezza di chi chiede maggiore controllo ai confini sia ri-salita dopo il 2022.

Quando, come abbiamo suggerito, la paura degli altri è stata oscurata dal timore delle guerre. Intorno a noi. La preoccupazione di fronte al problema ha un colore politico preciso e riconoscibile, in quanto separa gli elettori di Centro Sinistra e di Centro Destra. In modo netto ed evidente. La maggiore domanda di apertura, infatti, si rileva tra chi esprime il proprio favore per il PD e per l’Alleanza Verdi Sinistra. (AVS). Un orientamento condiviso, in misura minore, dalla base del M5s. Mentre a Centro Destra cresce notevolmente la richiesta di controllo delle frontiere. Che supera l’80% tra gli elettori dei FdI e oltre il 70% nella base della Lega, di FI. E di Azione. Oltre alle ragioni politiche, comunque, contano anche altri fattori. L’età e la professione, in particolare.

È significativo, infatti, come l’indagine LaPolis - Università di Urbino segnali un indice di apertura più elevato fra i giovani, con meno di 30 anni. E, insieme a loro, fra gli studenti. Due categorie che coincidono largamente. D’altronde, come abbiamo osservato su Repubblica, i più giovani de-finiscono una “generazione E”. Che guarda all’Europa. Ma, allo stesso tempo, una “generazione G”. Globale. Per queste generazioni i confini sono davvero “limiti”. Che “confinano” il loro futuro. E disegnano il loro presente.