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di Rosaria Manconi*

La Nuova Sardegna, 1 aprile 2022

All’alba di questo nuovo millennio a tinte fosche, imprevedibilmente attraversato da un nuovo e terribile conflitto, insieme alle notizie di devastazione e morte, dai luoghi della guerra è arrivata, inevitabilmente, anche quella degli stupri e delle violenze subite dalle donne ucraine.

Chi pensava che lo stupro non fosse altro che un retaggio triste dei conflitti bellici passati o che appartenesse a guerre ed a popoli lontani geograficamente e culturalmente si sbagliava. Di fatto lo stupro ha solo mutato il suo significato.

Se nel passato veniva considerato un “bottino di guerra”, un “danno collaterale” sfortunato ed inevitabile, nei conflitti contemporanei ha assunto valenze via via più complesse sino a diventare parte di una strategia offensiva, un’arma per l’annientamento del nemico. Superando il concetto di “violenza di genere”, lo stupro, in particolare quello di massa, è divenuto un mezzo di distruzione etnica, uno strumento agghiacciante di genocidio.

Nella storia più recente dell’umanità il corpo femminile è divenuto il vero luogo della guerra. La sua violazione ha acquistato la valenza simbolica della nazione sconfitta, l’oltraggio estremo, l’espressione del disprezzo verso le popolazioni vinte, la negazione stessa della loro identità di persone. Un segnale da mandare al nemico. L’offesa dell’onore di una nazione intera oltraggiata, profanata nel suo intimo.

Lo stupro in guerra perde la sua natura di semplice violenza sessuale, di soddisfazione di un bisogno per divenire, quindi, affermazione della superiorità del vincitore. Stuprare le donne davanti ai loro uomini inermi è il modo più atroce per affermare la superiorità non solo individuale ma di una intera nazione. È ciò che accaduto alle donne in Rwanda, nella ex Jugoslavia, in Nigeria, in Palestina, in Cecenia. È ciò che è accaduto alle donne Yazide stuprate dall’Isis ed ancora molto prima, nel 1914, alle donne belghe e francesi. Persino alle donne etiopi che subirono l’offesa dalle nostre truppe colonizzatrici.

Non c’è distinzione fra nazioni civilizzate e nazioni culturalmente arretrate, fra vincitori e vinti.

La guerra infierisce sui corpi delle donne, li usa e li abusa. Disprezza il genere, nega il suo valore se non quello della riproduzione. Nei conflitti etnici e razziali abusare delle donne e metterle incinte significa contaminare la etnia. In Bosnia si parla di centinaia di bambini nati dalle violenze. Ma moltissime donne scelsero di abortire, altre furono costrette a farlo dalle famiglie.

Ed allora per evitare tutto questo non basta indignarsi di fronte alle notizie che arrivano dall’Ucraina. La comunità internazionale deve reagire, accertare le responsabilità. E poiché c’è in ballo qualcosa di più vasto della violenza in sé l’impegno deve essere innanzi tutto rivolto alla cessazione immediata della guerra. Perché la guerra stessa è uno stupro.

*Avvocato