di Alessandro Parrotta*
Il Dubbio, 17 ottobre 2024
Cara “legge Costa”. A un mese di distanza dal semaforo verde “preliminare” del governo al decreto modificativo dell’articolo 114 del codice di procedura penale, l’emendamento del collega avvocato Enrico Costa torna a far discutere, in virtù del parere favorevole espresso martedì, sul testo, dalle commissioni Giustizia di Camera e Senato. La maggioranza sostiene che siano necessarie ulteriori strette: le sanzioni attualmente previste sarebbero troppo blande. Sarebbe infatti necessario che il bilanciamento tra informazione e presunzione d’innocenza sia rispettato e, dunque, sia conseguentemente prevista una proporzionale sanzione, adeguata, proprio ai diritti in gioco. Ecco che, nel parere che le commissioni parlamentari hanno approvato sul presunto “bavaglio” - la norma vieta la pubblicazione testuale dell’ordinanza di custodia cautelare, ammesso solo il “riassunto” - è stato inserito anche l’esplicito invito a prevedere sanzioni per chi deciderà di pubblicare ugualmente anche solo stralci degli atti dei gip. Le pene “invocate” sono di due tipi: un’ammenda molto più salata di quella attuale, che oscilla tra i 51 e i 258 euro; e una sanzione che graverebbe sulle aziende editoriali, utilizzando il meccanismo degli assetti di cui al D. Lgs. 231/2001.
Non è tutto però. La maggioranza, insieme con una parte dell’opposizione, vale a dire i rappresentanti di Italia viva, auspica che la stretta vada oltre l’ordinanza di custodia cautelare, e investa anche i decreti di perquisizione, gli ordini di sequestro o ancora le ordinanze di Riesame, atti, che si ricorda, ad oggi sono coperti dal segreto. Ora, alcun dubbio v’è quando si afferma che la libertà di stampa sia sacra e inviolabile, ma non bisogna scordarsi che di uguale importanza è la garanzia della segretezza delle informazioni e della dignità dell’individuo. Non a caso in Costituzione c’è l’articolo 21. Ecco perché l’emendamento Costa dev’essere visto come uno dei tanti passi sul percorso che ha come traguardo una giustizia ispirata ai principi liberali e garantisti. Purtroppo in molteplici e spiacevoli occasioni, la giustizia italiana ha visto sul banco dell’opinione pubblica persone del tutto estranee alle indagini, offese prima e compromesse poi nella loro carriera per ragioni rivelatesi del tutto infondate. Con un effetto anticipatorio di una condanna che nella realtà non è mai giunta: la condanna mediatica.
A opinione di chi scrive era dunque doverosa una riforma garantista contro la dilagante piaga della cultura della presunzione di colpevolezza e del pezzo di cronaca da dover sbattere a tutti i costi in prima pagina, ignorando consapevolmente - ed è questo forse l’aspetto più deplorevole - ogni regola di civiltà. Chi abbia avuto diretta esperienza degli scempi ai quali un soggetto, non avvezzo alla macchina della giustizia con le sue spire talvolta nebulose e di difficile comprensione, possa essere sottoposto, può comprendere come le continue critiche avanzate all’emendamento Costa evaporino come fantasmi. Di più: l’occasione è opportuna per sollevare una riflessione e per citare un capitolo di un libro del guardasigilli Carlo Nordio, “Non sparate al cronista”, il quale sottolinea come il giornalista, una volta che riceve una notizia, ha il diritto e per alcuni versi anche il dovere di pubblicarla. Il problema sorge quando la notizia è riservata: e qui la colpa è di chi ne ha consentito la diffusione.
Le riforme messe in atto non sono una minaccia ai giornalisti o alla libertà di stampa: vogliono semplificare l’individuazione di chi ha reso possibile la violazione del segreto istruttorio. Ed è chiaro come non vi sia alcun spazio per le strumentalizzazioni politiche, ma casomai ampio terreno per il Legislatore, anche in punto di adeguati assetti organizzativi.
*Avvocato, Direttore Ispeg