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di Andrea Walton

linkiesta.it, 26 maggio 2022

La settimana scorsa il presidente Lukashenko ha introdotto la punizione capitale per il reato di pianificazione di atti terroristici: una mossa che colpisce i molti esponenti dell’opposizione detenuti nelle carceri dopo gli arresti di massa degli ultimi anni. Minsk è l’unica in Europa a usare con regolarità le esecuzioni.

La settimana scorsa Bielorussia ha introdotto la pena di morte per il reato di pianificazione di atti terroristici. Svetlana Tikhanovskaya, che guida l’opposizione al presidente Alexander Lukashenko e in questo momento si trova in esilio in Lituania, è sotto processo in contumacia proprio per questo reato. E lo stesso vale per molti altri oppositori dell’uomo forte di Minsk.

Migliaia di attivisti sono stati arrestati o sono fuggiti in esilio dopo la repressione delle manifestazioni di massa contro la rielezione, fraudolenta, di Lukashenko nell’estate del 2020 e il loro destino ora è a rischio. Il Capo di Stato, anche grazie all’aiuto di Mosca, ha resistito al cambiamento e ha consolidato il proprio potere ultra ventennale. Minsk, infatti, è cambiata molto poco dai tempi dell’Unione Sovietica e ha conservato un sistema politico autoritario e centralizzato. La Bielorussia è anche l’unico Paese europeo che adotta la pena di morte, presente nel codice penale sin dal 1991, e la impiega con regolarità. Anche se non esistono statistiche ufficiali in merito alle esecuzioni e le informazioni che si riescono ad ottenere sono scarse e incomplete. Secondo quanto riferito dall’International Federation for Human Rights, i condannati alla pena capitale sono soggetti a una serie di abusi e maltrattamenti psicologici all’interno delle carceri che li ospitano.

Non possono comunicare con la propria famiglia, spesso non possono ricevere il proprio avvocato e non possono mai abbandonare la propria cella. La data dell’esecuzione è coperta da segreto e il condannato viene avvisato solamente il giorno stesso mentre la famiglia, a cui non viene restituito il corpo ne viene reso noto il luogo di sepoltura, viene informata con un mese di ritardo. Le esecuzioni vengono eseguite mediante un colpo di arma da fuoco alla testa. La pena capitale è prevista per 14 reati, ma non è applicabile a chi ha meno di 18 anni al momento del reato, alle donne incinte e a chi ha più di 65 anni al momento della sentenza.

Le organizzazioni per i diritti umani fanno sapere che più di 400 persone sono state condannate a morte in Bielorussia dal 1991 anche se, per anni, l’Unione europea ha chiesto a Minsk di introdurre almeno una moratoria sull’applicazione della pena capitale.

La cancellazione di condanne inflitte da tribunali di gradi inferiore da parte della Corte Suprema è un evento molto raro. Nel 2020 la Corte ha cancellato tre sentenze di colpevolezza (tra cui una, secondo quanto riferito dall’imputato, estorta con la forza) ma si tratta, appunto, di eccezioni che confermano la regola generale.

Il diritto a un processo equo non è garantito in un sistema giudiziario prono nei confronti del potere esecutivo, e in cui i giudici perseguono con forza la strada della condanna a tutti i costi. Il tasso di assoluzione è, infatti, pari ad un misero 0,02% di tutti i processi in essere. Il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha reso noto che, in più occasioni, le persone giustiziate sono state vittime di violazioni procedurali e maltrattamenti ma il governo bielorusso ha ignorato tutti gli avvisi emessi dal Comitato e anche le misure di riparazione suggerite per porre rimedio a quanto accaduto.

Questi fallimenti sistematici sono stati oggetto di richiamo anche da parte del Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura che ha definito “molto spiacevoli”, come ricordato da Open Democracy, la mancanza di passi in avanti compiuti sul tema della pena di morte.

La formulazione e l’introduzione, nel 2016, del primo piano nazionale per i diritti umani da parte della Bielorussia aveva acceso una luce di speranza sul tema della pena di morte. Il punto 36 del piano, come osservato dalla Konrad Adenauer Foundation, impegnava il Ministro degli Esteri a esaminare tanto le esperienze internazionali riguardanti la pena di morte quanto l’opinione pubblica su questa materia. Gli sviluppi degli anni successivi, invece, hanno evidenziato come gli impegni derivanti dal piano siano rimasti perlopiù lettera morta.

La Bielorussia è l’unico Paese in Europa a imporre la pena capitale ma non bisogna dimenticare che anche la Federazione Russa prevede la pena di morte. La differenza consiste nel fatto che il Presidente Boris Yeltsin introdusse una moratoria nel 1996, poi confermata dalla Corte Costituzionale nel 1999 e che da allora nessuno è stato più giustiziato.

La Russia faceva inoltre parte, sino ad alcune settimane fa, del Consiglio d’Europa, che impedisce ai suoi membri di imporre la pena capitale. La sospensione di Mosca da parte del Consiglio, in seguito all’invasione dell’Ucraina, ha aperto nuovi scenari e potrebbe portare ad un ripensamento. L’ex Primo Ministro Dmitry Medvedev ha ricordato, come riportato dal Barents Observer, che la sospensione “è una buona opportunità per reintrodurre la pena di morte per i criminali più incalliti e sanguinari”.